DI PAOLO DI MIZIO
Sono molto felicemente sorpreso che il Nobel della letteratura, annunciato oggi, sia andato alla poetessa americana Louise Glück. Alcuni anni fa mi sono imbattuto per la prima volta nella sua poesia e ne rimasi molto colpito. La Glück usa un linguaggio semplice, sempre comprensibile, mai annebbiato da artifizi, oscurità di senso, ermetismi eleganti ma inutili (fraintendimento del vero ermetismo ungarettiano), e tutti quegli orpelli fumosi ormai dilaganti nella poesia, in particolare italiana. No, la sua è la lingua del parlato quotidiano, espresso in forma piana, essenziale, senza rinunciare a una sintassi nervosa, quasi spezzata a volte, come se sintassi e punteggiatura volessero accompagnare impromptu il flusso dei pensieri e rifletterne lo sgorgare naturale dalla mente: è quasi una riesumazione della tecnica del “flusso di coscienza”, trasferita dalla narrativa alla lirica. Perché in fondo la poesia è prosa distillata, purificata.
Con la sua lingua minimalista, piana e comprensibile, ma sempre dotata di “una austera bellezza” – come dice la motivazione del Nobel – Glück scava nel fondo di riflessioni esistenziali e “rende universale l’esistenza individuale”.
Fui così colpito dalla sua poesia, quando ne venni a contatto, che non potei resistere al desiderio di tradurne alcuni versi. Ecco una di quelle mie traduzioni (più sotto l’originale in inglese).
Il mio corpo
Mio corpo,
adesso che non viaggeremo più insieme
ancora a lungo,
comincio a sentire
una nuova tenerezza
verso di te,
molto cruda e familiare,
come ciò che ricordo
dell’amore quando ero giovane –
amore che fu così spesso
sciocco nei suoi obiettivi
ma mai nelle sue scelte,
nelle sue intensità.
Troppo fu chiesto troppo presto,
troppo promesso che non poteva essere promesso.
La mia anima è stata così impaurita, così violenta:
perdona la sua brutalità.
La mia mano, come fosse quell’anima,
si muove adesso cauta su di te,
non per arrecare offesa
ma ansiosa, finalmente,
di raggiungere espressione nella sostanza:
non è il mondo che mi mancherà,
sei tu che mi mancherai.
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LOUISE GLÜCK – My body
My body,
now that we will not be travelling together
much longer,
I begin to feel
a new tenderness
toward you,
very raw and unfamiliar,
like what I remember
of love when I was young –
Love that was so often
foolish in its objectives,
but never in its choices,
its intensities.
Too much demanded in advance,
too much that could not be promised –
My soul has been so fearful, so violent:
forgive its brutality.
As though it were that soul,
my hand moves over you cautiously,
not wishing to give offense
but eager, finally,
to achieve expression as substance:
it is not the earth I will miss,
it is you I will miss.