DI TURI COMITO
I sistemi politici rappresentativi moderni, quelli, per intenderci, successivi alla rivoluzione francese e variamente basati su libertà individuali cui poi si aggiungono i diritti sociali, sono sistemi nati in un periodo storico in cui la modernità capitalistica stava affermandosi.
Uno dei tratti tipici di questa modernità è la maggiore e sempre crescente velocità del cambiamento. Di ogni tipo di cambiamento. Per esempio, la produzione in serie di beni di consumo – o di apparati tecnologici intermedi utili per creare beni finali destinati al consumo di massa – è una produzione basata sulla velocità a sua volta combinata con la concorrenza e con l’innovazione dei prodotti.
Ma la grande velocità di produzione industriale di beni, a fronte della lentezza di produzione artigianale o rozzamente industriale di beni delle epoche precedenti, ha effetti sul comportamento umano individuale che diventa poi sociale culturale tecnologico scientifico e, infine, politico.
Il problema principale che hanno sempre avuto i sistemi rappresentativi (quelli ristretti cosiddetti liberali ottocenteschi e quelli di massa del novecento) è stato quello di governare cambiamenti profondi che spesso la velocità rendeva ingovernabili.
Il fatto è che tutti i sistemi rappresentativi occidentali, d’élite o di massa, hanno sempre affidato alle procedure una importanza estrema. Proprio per garantire la rappresentanza e le libertà e i diritti associati a quella si sono dovuti prevedere meccanismi decisionali (procedure) di tipo assembleare. Ma le assemblee non ragionano come uno solo. Hanno bisogno di tempo per studiare, valutare, discutere e poi, infine, decidere su questo e quell’altro problema. Certe volte i tempi di questi processi sono lunghi, alle volte lunghissimi e il rischio è sempre quello che la velocità con la quale si verifica un cambiamento sia superiore a quello necessario ad una decisione che governi quel cambiamento.
Anche in questo, non solo nella protezione di interessi identificati attorno a classi o ceti dominanti, si posso trovare le ragioni delle dittature fasciste novecentesche.
La risposta del fascismo ai cambiamenti epocali di quella stagione fu infatti la militarizzazione del potere politico.
Il potere militare non agisce sulla base della condivisione del processo decisionale ma sulla base del principio di autorità gerarchico che è, in generale, altamente efficiente nelle condizioni estreme di cambiamento quali quelle che si possono verificare in ogni evento bellico. Il fascismo italiano è andato anche oltre e ha assunto, o voleva assumere, il ruolo non solo di governo del cambiamento ma di motore di questo.
Ma se la velocità di cambiamento era già molto alta (sempre riferita alle epoche precedenti) cento anni fa, lo è infinitamente di più da almeno una quarantina di anni a questa parte.
Basti pensare, per chi ha più di cinquanta anni, quale profondissima trasformazione comportamentale ha provocato nella vita degli individui e in quella delle società la rivoluzione informatica che ha investito praticamente ogni ambito dello scibile umano (dalla finanza alla medicina, dalla comunicazione alla ricerca scientifica). Che peraltro non è stata la sola trasformazione ultra veloce, perché a questa si è accompagnata quella dei costumi, della morale pubblica e privata, della stessa politica.
Cambiamenti tanto radicali così compressi nel tempo hanno avuto l’effetto di indebolire sempre più i regimi rappresentativi di ispirazione liberale. Che, per costituzione o per prassi, debbono rispettare tempi lunghi e procedure elaboratissime per decidere su quasi tutto. Il che ha segnato una certa diffidenza, crescente, tra le popolazioni governate sotto regimi rappresentativi dovuta allo scarto (reale o percepito) tra problema e soluzione politica, cioè collettiva, al problema.
Ora, in queste circostanze sembra che l’unica via d’uscita per governare il cambiamento continuo e la sua altissima velocità sia quella di riutilizzare il solo sistema conosciuto di organizzazione del potere che abbia le caratteristiche di intervenire rapidamente per risolvere problemi o perfino di anticiparli.
Ed è il sistema di cui sopra: quello militare.
La riforma istituzionale/costituzionale di cui si parla in Italia da decenni, e che ora pare a portata di mano, non fa altro che prendere atto di una serie di prassi ormai solidificate (es.: la decretazione d’urgenza). Ed essa è informata al seguente principio di azione: la centralizzazione del potere attorno ad un centro stabile, gerarchicamente ordinato, efficiente secondo i canoni di guerra (cioè minaccia- risposta commisurata alla velocità/pericolosità con cui la minaccia si presenta).
In effetti, a ben guardare gli stati che meglio stanno resistendo al cambiamento compresso nel tempo e alle trasformazioni che procura, sono quelli in cui vigono forme di potere politico concentrato. Non si impressioni nessuno se accosto gli Usa, la democrazia più antica del mondo dicono, all’autocrazia cinese o russa. Basta osservare senza le lenti dell’appartenenza ideologica o culturale le cose per venire a capo del fatto che le strutture del potere politico di quei paesi sono modellate su forme gerarchico-militari. Dove la velocità di decisione, la capacità di intervento, la elaborazione di modelli strategici politici è concentrata nelle mani di pochissime persone mentre alle assemblee rappresentative, fatte alcune eccezioni, non è riservato più il compito di legiferare ma quello di ratificare.
L’impressione è che per fare fronte ai grandi e velocissimi cambiamenti della modernità capitalistica l’unica strada sia fascistizzare/militarizzare la politica. O commissariarla se questo termine vi piace di più.
Il risultato non cambia.
Il bivio davanti al quale i regimi rappresentativi di massa occidentali, le cosiddette democrazie, si trovano è efficienza vs paralisi.
L’efficienza è il modello delle democrazie autoritarie, la paralisi è il modello delle democrazie procedurali lente.
Al punto in cui siamo mi pare difficilissimo che qualcuno sia disposto a scegliere la seconda ipotesi.
Ce l’avete tutti l’elmetto?
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Tutto questo per dire che quel che sta succedendo alla Rai in queste settimane non è improvvisazione né vendetta politica. Al contrario rientra perfettamente in un processo di militarizzazione della politica che non é nato con questo governo. È una tendenza di medio/lungo periodo.
La riforma della Rai che ha portato ad un maggiore controllo
– come se quello di prima fosse meno invasivo – del governo sul principale media di massa italiano è stata voluta dal governo Renzi che voleva pure una riforma costituzionale che accentrasse sul governo più poteri sottraendoli alle assemblee rappresentative.
Per cui io eviterei di gridare allo scandalo se il governo dei meloni d’Italia (le cui radici in modelli autoritari di governo non sono mai state nascoste) approfitta delle norme messe a sua disposizione dagli eredi della fu DC e del fu PCi e scarti vari.
Alla fin fine ormai i meloni d’Italia e i convertiti vari alle magnifiche sorti progressive del liberismo ragionano alla stessa identica maniera sui fondamentali cioè su assetto istituzionale, economia, politica internazionale.
Se non sono la stessa cosa non credo le differenze siano visibili a occhio nudo. Non su quelle tre cose. Al massimo, volendo usare la lente d’ingrandimento, si possono vedere differenze su come si deve chiamare il Presidente del consiglio a seconda che sia dotato di apparato genitale maschile o femminile.