DI MARCO ZUANETTI
“Il contratto sociale sulla pelle degli ultimi”. Eh già
“La pandemia non è la livella di Totò, colpirà soprattutto gli invisibili, quelli così ultimi da essere fuori classifica.
Quelli a cui possiamo riservare indifferenza senza sensi di colpa.
Oggi pubblichiamo un’inchiesta sull’epidemia che non è la livella di Totò, non colpisce tutti allo stesso modo, e nei prossimi mesi sarà minacciosa soprattutto con gli ultimi, sebbene di rado siano riconosciuti tali: senza tetto, immigrati specialmente se clandestini, campi abusivi, e dunque campi rom. Per avere le notizie abbiamo lasciato perdere le istituzioni e ci siamo rivolti alle Organizzazione non governative, le Ong, che contrariamente a quanto si crede non sono armatori e volontari di barche di soccorso, e basta: lavorano anche sulla terraferma, compiono studi, portano aiuti, arrivano dove la politica non arriva, o arriva poco e per iniziativa individuale.
Dei rom ci occupiamo esclusivamente quando si parla di sicurezza, la nostra sicurezza, di noi bianchi italiani per diritto di nascita e di stirpe. Ce ne occupiamo se si discute dei campi, dell’opportunità di conservarli o spianarli con la ruspa. Ci importa nulla che il novanta per cento dei bambini dei campi sono esclusi dalla scuola pubblica. L’opportunità di un futuro, per loro, non ci sfiora. Ignoriamo che i rom in Italia sono centocinquantamila e nei campi vivono in trentamila, gli altri lavorano, pagano le tasse, usano i mezzi pubblici, abitano gli appartamenti a fianco al nostro. Sono italiani. Rom e italiani. E non lo sappiamo. Per noi i rom sono quelli che rubano, che sfruttano i bambini per la carità, che si muovono in gruppo cenciosi e minacciosi. Sono fatti così. Vogliono vivere così. Una manifestazione straordinaria di candore razzista, purissimamente razzista, e comunemente accettata.
Degli immigrati ci occupiamo esclusivamente quando si parla di sbarchi, se vadano consentiti o vietati, ma del minuto dopo non ci curiamo più. Qua e là si alza qualche voce sullo stato dei centri d’immigrazione, si stende qualche articolo di dolente enfasi, come questo, e finisce lì. Se muoiono in mare amen, se arrivano sulla terraferma arrivederci. In buona parte si riversano nelle città a chiedere l’elemosina o a vendere chincaglieria, si radunano dove possono a mangiare e a bere e talvolta a dormire, molti trovano l’opportunità più a portata di mano nella delinquenza. Non c’è nessun piano, né che regoli gli arrivi né che governi gli arrivati. Gli immigrati sono una risorsa in particolare per la propaganda, una risorsa per gli erculei da talk issati davanti a una telecamera a difendere l’italianità dei confini e delle tradizioni, e pure una risorsa per gli afflitti umanisti da tg. Ma come esercitare il proprio umanesimo nella gestione degli immigrati, nelle città e nella legge, è una domanda improduttiva, almeno per la grande urgenza del consenso.
Lasciamo stare i senza tetto, inutile farla lunga: la questione, qui, è da sempre di arredo urbano. Dico per le istituzioni: chi gli dà una moneta, una coperta, un caffè caldo lo fa per privato atto di solidarietà. E lasciamo stare i carcerati, presenti e futuri, su cui si gareggia a chi sa affliggerli meglio.
Questa gente non esiste. Non fa parte del nostro mondo. Noi chiamiamo gli ultimi quelli che non sono ultimi. Gli ultimi, gli ultimi veri, ci limitiamo a non vederli, a non ascoltarli e a non parlarne. Sono così ultimi da essere fuori classifica, così ultimi che possiamo riservargli indifferenza o disprezzo senza infingimenti e sensi di colpa. È comodo, non costa nemmeno fatica, funziona benissimo in tempo di tracollo economico, anche se non è un’esclusiva del nostro tempo: è un disastro infinito di disumanità che Simone Weil nel suo ultimo libro (La persona e il sacro) centra con spaventosa perizia. «Quelli a cui capita più spesso di avvertire che viene fatto loro del male, sono gli stessi che hanno minor capacità di parlarne». Il silenzio è, appunto, il tacito patto fra uomini e non uomini, il nostro sottinteso contratto sociale. (cfr. MF)”