“ORDINE ESECUTIVO” DI BIDEN A RISCHIO ELETTORALE CONTRO L’HI-TECH ALLA CINA

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

 

‘Ordine esecutivo’ e isteria politico elettorale. Biden blocca tutti gli investimenti in alta tecnologia Usa verso Pechino. ‘Sicurezza nazionale’ la coperta che serve a nascondere qualsiasi altro obiettivo politico (e commerciale), cercando di scansare le critiche e massimizzare i ritorni in termini di consenso.

Strategia Usa zigzagante

Proseguendo nella sua strategia zigzagante, quasi schizoide, nei confronti di Pechino, Joe Biden ha firmato un improvviso ‘ordine esecutivo’. Il provvedimento vieta gli investimenti di imprese americane «in semiconduttori avanzati e informatica quantistica, che dovessero essere realizzati in Cina». E impone di informare il governo di Washington dei possibili investimenti in altri tipi di semiconduttori e nel comparto dell’intelligenza artificiale. Tutti i cittadini statunitensi (e i ‘residenti permanenti’) sono sottoposti al divieto. Come spiega il Financial Times, il Presidente Usa ha affermato che il progresso tecnologico nel settore «pone significativi rischi per la sicurezza nazionale, perché i computer si potrebbero sviluppare in modi che aiuterebbero a costruire armi sofisticate e a violare i codici crittografici, utilizzati dalle agenzie di spionaggio per proteggere i dati».

Sempre “Sicurezza nazionale”

Un richiamo che viene tirato fuori ciclicamente e che, in teoria, può essere applicato a tutti i settori industriali con potenziali applicazioni militari: dalla metallurgia avanzata, alla fisica dei materiali, dalla chimica complessa, fino ad arrivare alla biologia molecolare. La misura è stata giustificata dal Consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, che l’ha definita come ispirata da una filosofia di «piccolo cortile, ma alto recinto». Volendo significare che, il violento protezionismo americano si applica solo «in alcuni settori strategici». ‘Piccolo cortile’ molto relativo perché ci sono già i dazi di Trump, che Biden ha mantenuto, senza toccarli di una virgola. Perpetuando così il fuoco di sbarramento del suo criticato predecessore. In verità, la partita che si gioca dietro l’ordine esecutivo di Biden è diversa. E per certi versi molto più grossa, anzi, globale.

Alta tecnologia per la produttività

L’alta tecnologia, strumento principe per aumentare in un breve lasso di tempo la produttività di un sistema. Insomma, con le chiavi del ‘saper fare del futuro’, la Cina sarebbe tranquillamente in grado di sorpassare gli Stati Uniti, come prima potenza economica mondiale. Quindi, più che un problema di obici e carri armati è una questione di Pil, di export e (chiodo fisso di tutti gli ultimi Presidenti americani) di bilancia dei pagamenti. Quella della Casa Bianca, dunque, è una mossa che va letta e valutata attentamente, anche alla luce degli ultimi sviluppi del confronto geopolitico tra le due superpotenze e dei suoi risvolti diplomatici.

Guerra alla Cina a costo di farsi male

Come riporta il Wall Street Journal (che con la notizia ha aperto l’edizione on line di ieri«l’Amministrazione Biden intende negare alla Cina il know-how, l’accesso al mercato e altri vantaggi che le società di rischio e private equity statunitensi portano con i loro investimenti». Ciò potrebbe scuotere ulteriormente le società americane che fanno affari in Cina. Già colpire dall’indebolimento della crescita di Pechino, dai blocchi Covid che hanno reso difficili i viaggi verso il colosso asiatico e dal deterioramento dei rapporti politici e commerciali con gli Stati Uniti. Ma dove vuole arrivare Biden? Secondo il Financial Times, attualmente c’è una finestra di dialogo che non si vuole chiudere. Riguarda il vertice Asia-Pacifico, che si terrà in autunno, a Washington, al quale dovrebbe partecipare il leader cinese Xi Jinping, incontrandosi con Biden. I risultati concreti non sarebbero strabilianti, ma la passerella, forse, servirebbe a entrambi per motivi di politica interna.

Isteria politica di “foreign policy”

Il vero problema, per gli analisti, è riuscire a capire il processo di formazione delle rispettive strategie di ‘foreign policy’, che non sono monolitiche. Nel senso che (più in America che in Cina, è chiaro) possono esistere diverse scuole di pensiero. Per esempio, nell’Amministrazione Biden, c’è consonanza di vedute tra Blinken (Dipartimento di Stato), Lloyd Austin (Pentagono) e Sullivan (Consiglio per la Sicurezza nazionale)? Probabilmente no. D’altro canto, gli ‘strategist’ dello Studio Ovale hanno capito che questa, per Xi Jinping, è una difficile fase di transizione economica. La Cina è in deflazione, la domanda interna non riparte e il resto del pianeta è sull’orlo della recessione. I problemi di Biden sono diversi, a cominciare dalle elezioni che lo aspettano al varco nel 2024. E lui potrebbe voler compensare il (finora) clamoroso insuccesso ucraino, con una rivincita nell’Indo-Pacifico.

Altalena politica a spinta elettorale

“Un’affermazione, magari transitoria, che lo faccia anche risalire in quei sondaggi che ancora lo vedono incredibilmente appaiato (se non indietro) a Trump. Spuntare una migliore posizione nella geopolitica con la Cina, potrebbe voler dire mettere fieno in cascina per l’economia Usa del futuro. E per Biden, un buon assist per non dover uscire presto dalla Casa Bianca”.

 

Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

11 Agosto 2023