DI BARBARA LEZZI
Non sono una giustizialista e sono certa che il principio rieducativo della pena sia sacrosanto ma c’è uno squilibrio intollerabile in cui si presta attenzione a Caino mentre il diritto di giustizia di Abele è relegato al margine.
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La giovanissima donna stuprata- da sette (DICO SETTE) suoi pressoché coetanei-con ferocia inaudita e con impietoso disprezzo ha tenuto un comportamento esemplare perché ha resistito anche alle minacce dei sette criminali che volevano passarla liscia. La ringrazio da donna, sono grata a colei che potrebbe essere mia figlia per il coraggio e per la fiducia che ha dimostrato nella giustizia. La abbraccio con tenerezza e le auguro solo tanta dolcezza per il resto della vita che ha ancora tutta davanti.
Ora, però, la giustizia dovrebbe fare la sua parte.
L’unico minorenne (ora maggiorenne) presente in quella serata da incubo, ha confessato perché hanno trovato il suo telefono ed è stato scarcerato. La giovanissima donna avrà dentro di sé per sempre le tracce di quanto subito ed ha diritto ad essere tutelata, protetta.
La giustizia deve prendersi cura di colei che ha scelto la strada più difficile prima di intraprendere quella dell’elaborazione e del superamento del dolore.
La giustizia deve dare esempio e deve anche dimostrarsi all’altezza di simili tragedie perché altrimenti i prossimi sapranno di avere vita facile e le prossime taceranno per non sprofondare in altre umiliazioni.
Aggiungo un’altra riflessione.
Quando vengono commessi reati così efferati, non riesco a non pensare che, quasi sempre, anche i genitori dei carnefici soffrono terribilmente, accusano chissà quanti sensi di colpa e si straziano nel senso di fallimento anche se, altrettanto di frequente, non sono loro o solo loro i responsabili degli accadimenti.
Ma non ho nessuna buona considerazione per la madre di uno di questi sette giovani che, anziché cercare di aiutare il figlio a capire, ha definito la vittima “una poco di buono”.