DI MARINO BARTOLETTI
Addio Toto!
Vale tutto quello che ti ho scritto il 7 luglio per i tuoi ottant’anni (che ripropongo): e mi tengo stretto al cuore il tuo ringraziamento non dovuto, ma – letto oggi – ancora più commovente.
Spero che in questo momento ci sia spazio solo per l’ammirazione e per la gratitudine per tutto quello che ci hai regalato.
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Sei stato un italiano vero! E amato.
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Oggi compie 80 anni Toto Cutugno: un altro meraviglioso “ragazzo del ‘43” che appartiene, senza se e senza ma, alla storia della musica leggera italiana.
Può piacere o non piacere per la brusca schiettezza del suo carattere (del quale invece, personalmente, apprezzo la mai ipocrita genuinità). Di certo è un nostro grande ambasciatore artistico nel mondo: amato, applaudito e rispettato dovunque si sia esibito.
A chi, incautamente, arricciasse il naso sulla sua produzione pop (come se fosse una parolaccia), è appena il caso di ricordare che è stato autore di canzoni memorabili come “Io amo”, “Il sognatore”, “Soli” e “Il tempo se ne va” (queste ultime due nel pantheon dei successi di Adriano Celentano), per non parlare de “Gli amori”, unico brano eseguito a Sanremo da Ray Charles (col titolo di “Good love gone bad”). E a proposito del Festival è recordman di partecipazioni come esecutore (15) e di podi (un primo, sei secondi e un terzo posto con canzoni tutt’altro che banali come “Solo noi”, “Emozioni”, “Figli” e “Le mamme”). Nel 1990 fu il nostro secondo cantante della storia – dopo la Cinquetti e prima dei Maneskin (a distanza di oltre 30 anni) – a vincere quello che ora si chiama Eurovision Song Contest
“E “L’italiano”? obietterà qualcuno. Nel 1983, a Sanremo, arrivò solo quinto (dopo essere stato rifiutato da Celentano): salvo diventare in decine di Paesi il nostro inno nazionale alternativo.
Fatto di tre accordi (quattro, vah), ma anche di farina buona come quella del pane.
Dieci anni fa Toto portò da Mosca il coro dell’Armata Rossa per eseguirlo sul palco dell’Ariston. I fatti dicono che oggi sarebbe un gesto di pace irripetibile!
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