DI ANTONELLO TOMANELLI
Un pubblico ministero di Brescia ha chiesto l’archiviazione per un uomo bangladese, sotto indagine per aver maltrattato per anni la moglie 27enne, che in realtà era una cugina sposata al prezzo di cinquemila Euro.
Nel chiedere l’archiviazione, il magistrato aveva scritto: «I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato sono il frutto dell’impianto culturale, e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura».
Questa la proposta del PM al GIP, l’organo che decide sulle richieste di archiviazione. Ma il GIP, dopo aver chiesto al PM se si sentiva bene, ha risposto picche, formulando l’imputazione coatta per il bangladese: «sussistono senz’altro elementi idonei a sostenere efficacemente l’accusa in giudizio nei confronti del marito». In pratica gli ha detto: poche palle, quest’uomo va processato, lavora.
In sostanza il PM, nel motivare la richiesta di archiviazione, aveva detto: il marito è un troglodita, non può intendere il concetto di parità tra uomo e donna, quindi le botte date e le segregazioni subìte per anni dalla moglie non possono considerarsi reato, perché nei momenti in cui agiva, lui non aveva coscienza e volontà di ciò che faceva, proprio per la sua condizione di troglodita.
Se molte donne hanno una scarsa fiducia nella giustizia, è anche per uscite del genere. Se è vero che conclamate differenze culturali possono segnare il destino di una donna, è anche vero che tali derive vanno arginate quando fanno capolino in una società che non può tollerare questo genere di abusi.
In realtà, l’idea di questo PM, che ha ritenuto il bangladese agire nei confronti della moglie «senza coscienza e volontà», si basa su un equivoco di fondo grande quanto una montagna. L’art. 42 del codice penale stabilisce un principio generale: «Nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà».
Ma che significa «coscienza e volontà»? Se un porcone, senza che io me ne accorga, mette nel mio drink una sostanza allucinogena che mi fa andare fuori di testa, tanto che tornando a casa in macchina considero i pedoni come birilli e li investo uno ad uno, non sarò punibile perché quella azione non l’ho commessa con coscienza e volontà. Siamo responsabili di un reato quando la relativa condotta avremmo sempre potuto evitarla con un minimo sforzo intellettivo.
Chi, afflitto da paurose tare culturali, ammazza la moglie fedifraga perché intimamente convinto della giustezza della propria azione, sarà un troglodita, ma non gli manca né la coscienza né la volontà. Se io, nato e cresciuto in un paese siciliano ad altissima densità mafiosa, sciolgo nell’acido un cadavere che amici mi hanno appena portato, non potrò evitare una condanna per occultamento e vilipendio di cadavere solo perché nel mio paese si è sempre fatto così. Allo Stato non interessa secondo quali principi sei stato educato. Allo Stato interessa soltanto che tu, nel violare la legge penale, avresti potuto rinunciarvi con un minimo sforzo di volontà.
Pare imminente un’ispezione del ministero della Giustizia alla procura di Brescia, dalla quale potrebbero scaturire anche sanzioni disciplinari nei riguardi di questo magistrato. Che però non potrà mai addurre come scusante quella di essere ignorante come una capra.