DA REDAZIONE
Di Rem dalla redazione di Remocontro
La prima fase della riconquista è fallita è la valutazione occidentale più severa ma assieme oggettiva. «Ha prodotto guadagni di appena 200 chilometri quadrati, senza lambire nessun centro strategico, e con l’autunno il fango inghiottirà carri e blindati», segnala Avvenire che non fa certo il tifo per Mosca.
Non previsioni ma analisi dei fatti
«È sempre un azzardo fare previsioni in guerra, il campo di battaglia è un rebus, perfino per gli stati maggiori che pianificano le operazioni», la premessa di Francesco Palmas. Ma i fatti verificati poi diventano certezze, e queste non dicono molto di buono per Kiev. «A tre mesi dall’inizio della controffensiva ucraina ci si deve arrendere all’evidenza: la prima fase della riconquista è fallita». Fatti? Ha prodotto guadagni di appena 200 chilometri quadrati, senza lambire nessun centro strategico. La linea del fronte si è spostata di pochi metri al giorno, un incedere insufficiente a creare uno slancio, come ci spiegano gli analisti di cose militari.
Oltre la propaganda
La vittoria di Rabotino molto esaltata in Ucraina, è strategicamente insignificante dice la valutazione strategica diffusa sul fronte occidentale. Fatti: è costata sei settimane di perdite immani. «I generali ucraini assomigliano sempre più al maresciallo Montgomery nella terza campagna di El Alamein: ritmi lenti e nessuno sfondamento, ma usura e passo di formica». Il parallelo militare citato su Avvenire, ha però una debolezza tragica. Montgomery fu vincente perché non aveva problemi di tempo. Ma per l’esercito ucraino il tempo a disposizione sta finendo. «Zelensky non ha che il mese di settembre per imprimere una svolta agli eventi. Dopo sarà troppo tardi, perché l’autunno renderà impossibili le grandi operazioni offensive».
Inverno mangia cingolati
Il fango inghiottirà carri e blindati, Leopard o Abrams che siano. «Non rimarranno che i missili, gli ordigni volanti, i droni e i colpi di mano dei sabotatori», che è quello di cui già abbiamo anticipazioni. I raid sensazionali contro la base di Sebastopoli e la distruzione di due navi preziose per le dinamiche di guerra russe. E pochi giorni fa quel missile ‘Neptune’ che ha eliminato uno degli scudi antiaerei che proteggono l’istmo tra la penisola e il continente russo. Ed è il secondo centro nel giro di un mese. Bei colpi per Kiev, giustamente enfatizzati, «Ma le guerre si vincono con gli stivali sul terreno, riconquistando le città. Un compito immane per gli ucraini, perché l’Armata rossa ha ancora in pugno 160.800 chilometri quadrati di loro terre».
Guerra delle “macchina volanti”
«La battaglia delle ‘macchine volanti’ non fa che alimentare speranze sterili, anche se stanno arrivando i missili americani da 300 chilometri e gli F-16», avverte ancora Palmas. Sapendo tutti già da ora che sia i missili sia i caccia bombardieri saranno comunque pochi. Incapaci di ribaltare un bilancio militare troppo dispari. Memoria macabra della storia: «Non riusciranno mai ad emulare gli americani che, nell’Iraq del 2003, fecero piovere una tempesta di fuoco sulle colonne di Saddam Hussein, polverizzandole in un solo giorno con 500 missili e 1.700 raid aerei».
Troppe perdite per minimo risultato
I nuovi armamenti, peraltro ancora ipotetici e molto difficili da gestire, «congeleranno al più lo status quo, prolungando il conflitto, senza sovvertirne l’ordine». E molti anche dal fronte occidentale –americano soprattutto-, temono che gli ucraini usciranno esausti dalle battaglie estive. In tre mesi, hanno pianto 35-50mila uomini e dato fondo più dei russi alle riserve. «Avranno bisogno di nuova linfa». Atre vite da buttare nel carnaio di una guerra che trova sempre meno ’volontari’ rispetto ad una trattativa insistentemente negata ma prima o poi inevitabile. E i tecnici militari insistono negli arruolamenti: «Se tutto va bene, torneranno all’offensiva nella primavera del 2024, il tempo di rigenerare le forze, preparare il terreno, riempire gli arsenali e fare scorta di granate. Con un problema all’orizzonte: gli uomini scarseggiano». Con l’errore politico di Zelensky che ha chiesto di rispedire in Ucraina i connazionali adulti espatriati in questi mesi. Una mossa del disperato.
Basta guerra, forse per egoismo, ma è un fatto
L’opinione pubblica americana è stufa della guerra e di elargire aiuti inconcludenti. Se i repubblicani vincessero le presidenziali del 2024, a Kiev non rimarrebbe che l’Europa, ma certamente scopriremmo molti dissensi politici interni per ora seminascosti. Senza le armi americane cosa? Le fabbriche di Rheinmetall traferite in Ucraina, promettono 400 carri l’anno, primo a facile bersaglio russo. Mentre Mosca non sta a guardare. Il New York Times ci informa che Rostec produce sette volte le artiglierie degli euroamericani e centinaia di carri moderni l’anno (T-72B3M, T-80 BVM e T-90M).
Lo stallo e guerra infinita?
«Per chiunque si parteggi, lo stallo è l’esito più probabile di questa sporca guerra, perché la Russia è coriacea», avverte allarmato Avvenire. Mistero Mosca. Sta già rinforzando il fronte di Zaporizhzhia con riserve di uomini. Difficile prevedere quello che farà in futuro: si sforzerà di ridurre il saliente di Rabotino? Attaccherà per liberare Donetsk dalla morsa nemica? Sposterà gli assi più a nord, verso Svatove? Si accontenterà dei guadagni acquisiti?
“Una cosa è certa: farà quello che le riesce meglio da sempre, combattere con ostinazione e solidità, senza exploit straordinari. Ecco perché la diplomazia dà segnali di risveglio”.
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Domani l’assemblea generale Onu
“Settantottesima assemblea generale dell’Onu con due temi cruciali destinati a dominare l’agenda 2023: la guerra in Ucraina e la riforma dell’Onu stessa. La star dell’assemblea generale sarà certamente Volodymyr Zelensky, presente di persona, dopo l’incontro che avrà con Joe Biden e un discorso davanti al Congresso, per perorare la causa degli aiuti statunitensi da 24 miliardi di dollari per altre armi. Ma attorno al Palazzo di Vetro la pressione sempre più intensa di quel ‘Sud del Mondo’ che nelle ultime settimane ha mostrato le ali e anche le unghie dei Brics a Johannesburg al G20 di New Delhi, fino al G77 dell’Avana, il vertice dei Paesi in via di sviluppo nel frattempo saliti a 134 che rappresentano l’80% della popolazione mondiale e reclamano, capeggiati dalla Cina, un nuovo ordine economico mondiale. La Cina, appunto, che si presenta all’Assemblea generale con l’intenzione di superare quel modello occidentale a trazione americana a favore di una governance globale che all’insegna di un multilateralismo condiviso da quasi tutti”.
Articolo a firma Rem, dalla redazione di
18 Settembre 2023