DI PIERO ORTECA
Dalla redazione di REMOCONTRO –
«Le condizioni disperate di Gaza sono ormai una minaccia alla sicurezza del mondo intero» denuncia l’Onu e Netanyahu quasi dichiara guerra alle Nazioni Unite. Qualcosa si è rotto dentro la democrazia israeliana già da prima dell’attacco di Hamas e degli ostaggi. Il segretario Onu Guterres ora apre una procedura straordinaria, mai usata nel mandato, e chiede il cessate il fuoco. Ma Israele bombarda ancora e lo attacca.
Nell’attualità stretta, Washington e Tel Aviv in rotta di collisione su durata e obiettivi della guerra, ma poco cambia.
Che accade ad Israele?
La premessa dell’attacco terroristico di Hamas e delle rivolte nella Cisgiordania occupata. Ma la sua brutale conduzione della risposta militare è figlia di un governo israeliano che, benché sia stato allargato con la formula dell’emergenza nazionale, è sostanzialmente sempre in mano al blocco di ‘destra-destra’, che va dal Likud ai molto aggressivi partiti e gruppuscoli nazionalisti e religiosi. Quindi, chi vuole capire qualcosa, della tremenda crisi attuale, deve guardare, in profondità, anche nei meandri politici dello Stato ebraico.
Israele spaccato in due
Israele, da questo punto di vista, è praticamente un Paese spaccato in due, che non riesce a trovare da lungo tempo una sua stabilità istituzionale. Elezioni a ripetizione e governi destinati a scomparire nell’arco di un paio di mesi, hanno segnato gli ultimi anni di vita della nazione. La metà progressista del Paese, con idee avveniristiche e programmi più concilianti in politica estera, si è confrontata col blocco opposto degli ‘ebrei duri e puri’, un misto di aggressivo conservatorismo, nazionalismo e iper-ortodossia religiosa: una miscela regressiva con cui il difficile dialogare era diventato l’impossibile.
Sovranismo reazionario ebraico
Questo blocco, raccolto negli ultimi anni attorno alla figura di Netanyahu, ha quasi sempre vinto, sia pure di pochissimo. O ha fatto in modo, anche dalla temporanea opposizione, di condizionare pesantemente le politiche della maggioranza moderatamente progressista. Il governo Netanyahu è un arcipelago molto frastagliato, che nel tempo, per ragioni di sopravvivenza personale del suo leader, è diventato pericolosamente estremista. Per restare a galla, con i voti di maggioranza contati sulle dita di una mano, Netanyahu è andato alla deriva, appoggiandosi progressivamente sugli alleati più intransigenti.
“Il muro di ferro” di Jabotinsky e seguaci
Il governo di chi vedeva la soluzione del conflitto coi palestinesi a senso unico, cioè col ‘Muro di ferro’ teorizzato più di un secolo fa da Vladimir Jabotinsky. Nell’esecutivo siedono personaggi del calibro di Itamar Ben-Gvir, Ministro per la Sicurezza nazionale e massimo responsabile del clima di tensione nei Territori occupati della Cisgiordania, da lui alimentato fin dall’inizio dell’anno. È il leader del partito oltranzista ‘Potere ebraico’, ed è quello che sta distribuendo, a tutto spiano, fucili mitragliatori ai coloni israeliani, che bullizzano gli agricoltori e i pastori palestinesi.
“Piano definitivo per Israele” del ministro Smotrich
Nel governo, brilla per il suo estremismo anche, Bezalel Smotrich, Ministro delle Finanze e leader del ‘Partito Sionista Religioso’, che alle ultime elezioni ha fatto coalizione con Ben-Gvir. Smotrich è autore di ‘Piano definitivo per Israele’, del 2017. Un programma di egemonia regionale, coi gli obiettivi di ‘grandeur’ geopolitica, che dovrebbe perseguire lo Stato ebraico. «Smotrich -scrive Haaretz- è una combinazione letale di estremismo religioso e nazionalismo messianico. Sostenitore della teoria razziale ebraica e negatore seriale dei fondamenti della scienza. Il suo piano è trasformare Israele in uno Stato governato secondo la legge della Torah». Una teocrazia ebraica.
“Terzo tempio” sulle rovine della moschea di al-Aqsa
Suprematismo ebraico, teocrazia, e oltre, scriveva Nehemia Shtrasler nell’agosto dell’anno scorso: «Smotrich auspica la costruzione del Terzo tempio sulle rovine della moschea di al-Aqsa, che porterebbe all’Armageddon con tutto il mondo musulmano, permettendo a Israele di ‘scaricare’ tutti i palestinesi dall’altra parte del Giordano, sotto la nebbia della guerra, dandoci così finalmente un Paese libero dagli arabi». Una profezia rabbrividente, specie se confrontata con quanto sta succedendo oggi.
Il ministro della tradizione ebraica
Sempre nell’ultimo esecutivo Netanyahu, ritroviamo altri esponenti che sono un chiaro indicatore della natura e degli obiettivi dell’attuale politica di Israele. Amichal Eliahu, Ministro per la Tradizione ebraica, che avrebbe voluto sganciare una bomba atomica su Gaza; Gila Gamliel, Ministro per l’Intelligence, che aveva proposto la deportazione di tutti i palestinesi residenti a Gaza; e Ron Dermer, Ministro degli Affari strategici, ex ambasciatore a Washington e, di fatto, il vero Ministro degli Esteri, che dialoga con gli americani, stabilisce accordi e prende armi. Ministro degli esteri ufficiale Eli Cohen in un angolo, che dovrebbe fare staffetta tra un anno con un altro beneficiato dall’ultra destra, Ysrael Katz, attualmente all’Energia e alle Infrastrutture.
Riforma giudiziaria salva premier corrotto
Per capire lo shock del 7 ottobre, bisogna tornare all’israeliano medio a inizio 2023, la cui priorità non era più la crisi coi palestinesi, ma quella di Netanyahu con i giudici. Il tentativo semi riuscito del premier di fare una colpo di Stato mascherato, cambiando in corsa le regole del gioco. E provando a modificare la struttura giuridica che fa da Costituzione. Il risultato è stato quello di aprire una vera e propria ‘guerra politica’, che ha stremato istituzioni e società per mesi. E che ora è congelata, solo perché è arrivata una crisi ancora più grave. E più dura la guerra di Gaza, maggiori possibilità ha Netanyahu di fare il ‘padre della patria’, anziché l’imputato nelle aule di un tribunale, accusato di corruzione.
Sinistra all’angolo nella democrazia perduta
E la sinistra? All’angolo. Ha sbagliato tutto, marciando divisa, quando invece gli altri -il Likud di Netanyahu-, si alleavano pure col diavolo. L’esempio più probante è il Partito laburista. La leader storica, Merav Michaeli, proprio ieri si è dimessa. È stata sua, infatti, la scelta rivelatasi una catastrofe di non coalizzarsi con l’altro partito della sinistra, Meretz, che per soli 4 mila voti non ha superato lo sbarramento proporzionale. Restando così senza seggi e consentendo a Netanyahu, sia pure a fatica, di formare il nuovo governo, raschiando il fondo del barile, voto per voto.
“Eppure il vecchio premier Yair Lapid, un sionista liberale e illuminato, aveva invocato in tutti i modi la costruzione di un ‘campo largo’ che bloccasse la pericolosa destra israeliana, rivelatasi un cocktail esplosivo, fatto di idee antidiluviane, cieco nazionalismo e fanatismo religioso. Come da titolo, ‘Sovranismo ebraico, teocrazia e involuzione democratica”.
.
Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di
8 Dicembre 2023