DI MARINO BARTOLETTI
La televisione italiana compie 70 anni!
Tutto cominciò alle 11 in punto del 3 gennaio 1954. Posso dire di esserne stato un testimone oculare “totale”: non è né un merito, né un vanto, è solo la conseguenza dell’anagrafe.
Parlo da spettatore (che per quasi la metà degli anni in questione mai avrebbe pensato di finire anche dall’altra parte della barricata). E da spettatore ringrazio la Rai non tanto per tutto quello che ha dato a me in termini di crescita personale – basterebbero le Olimpiadi del 1960, o i grandi sceneggiati, o il valore giornalistico di inchieste e trasmissioni che hanno fatto epoca (chiudete gli occhi e pensate a Biagi e Zavoli), o persino le meravigliosa leggerezza di certi programmi (di Arbore, per dirne uno) – quanto per l’innegabile arricchimento culturale che ha dato al Paese, addirittura preso per mano verso l’alfabetizzazione.
Certo, con gli anni sono avanzate “distorsioni” sempre più evidenti, figlie dei tempi, del “potere”, delle avidità e fatalmente anche della concorrenza: ma mi fanno molto ridere coloro che all’alba del 2024 si stracciano le vesti urlando alla “lottizzazione” (caso mai dopo essere stati i “lottizzanti” fino all’altro ieri). La realtà è che il problema della tv targata Rai è uno solo (e non da oggi): e cioè che mentre per decenni, per “andare in televisione”, bisognava aver frequentato l’asilo e poi le medie e poi il liceo della propria professione (fosse quella di giornalista, di artista, di conduttore, ecc.) arrivando finalmente a pieno titolo all’Università della Telecamera, ora accade esattamente il contrario: e cioè che meno cose si sanno fare e più sembra che si abbia la possibilità di farle. E non solo in Rai per la verità.
Possiamo criticare per 1000 motivi la cosiddetta “TV di Stato” (e nel mio caso, come addetto ai lavori, i motivi potrebbero essere…anche 1001, a cominciare dall’incomprensibile abolizione delle direzioni delle tre Reti principali la cui “concorrenza” è stata spesso il sale di una qualità e di una crescita straordinarie): ma, vista la potenza dell’intera Avventura, oggi credo ci stia bene anche un “grazie”. Dopodiché se a uno non piace il Festival di Sanremo può sempre andare… su Rai Storia! E spesso ne vale la pena.
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