METAVERSO

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Negli Stati Uniti se ne parla molto, moltissimo. Qui da noi pochissimo, tranne che fra gli addetti ai lavori e fra gli smanettoni.
Per chi non lo sapesse, il “Metaverso” è uno “spazio di realtà virtuale in cui gli utenti possono interagire con un ambiente generato dal computer e altri utenti”. (Oxford English Dictionary*)
Il termine è stato coniato per la prima volta nel romanzo cyberpunk del 1992 dell’autore statunitense, Neal Stephenson, “Snow Crash”. Nel libro, il protagonista è un hacker in grado di saltare tra una Los Angeles distopica e il cosiddetto “Metaverse”, un mondo virtuale in cui interagiscono gli avatar.
In una certa misura, parlare di cosa significhi “il Metaverso” è un po’ come discutere di cosa significhi “internet” negli anni ’70. Gli elementi costitutivi di una nuova forma di comunicazione erano in fase di costruzione, ma nessuno poteva davvero sapere come sarebbe stata la realtà. Quindi, mentre era vero, all’epoca, che “Internet” stava arrivando, non tutte le idee su come sarebbe stato erano vere. [Wired]
Quelli meno “hipe” lo chiamano ancora “cyberspazio”. In generale, le tecnologie che compongono il “Metaverso” possono includere la realtà virtuale, così come la realtà aumentata che combina aspetti del mondo digitale e fisico.
Il “Metaverso” è già una nuova arena in cui “Big Tech” e startup cercheranno di contendersi quanto più possibile il controllo di questo “Nuovo Mondo”. Facebook in Meta, Microsoft, Google, Apple si sono buttate a capofitto nel neobusiness del secolo.
Naturalmente fasce di altri grandi marchi si stanno unendo alla corsa per costruirne uno proprio, utilizzando le piattaforme di gioco online esistenti come via d’accesso.
“Nike”, ad esempio, ha già allestito il proprio “Metaverso” – chiamato “Nikeland” – all’interno di una piattaforma chiamata “Roblox”.
“ITV” ha lanciato il suo “Metaverso” all’interno del videogioco “Fortnite”.
L’idea alla base del “Metaverso” è questa: indossi un paio di occhiali o un visore e ti ritrovi immerso in un enorme ambiente 3D dove decidi cosa fare, chi incontrare, cosa comprare e molto altro.
Prova a pensare alla tua routine quotidiana: lavoro, riunioni, pranzi, la spesa ecc.
Ora immaginalo in forma digitale.
A trent’anni dal lancio del “World Wide Web” al grande pubblico, non è chiaro se il “Metaverso” godrà della stessa ascesa di Internet.
Ma veniamo al punto: abbiamo davvero bisogno di un altro mondo?
Non sono un “passatista”, ma abbiamo davvero la necessità di passare da una forma di vita all’altra?
Viviamo in una fase storica paradossale: nel “Mondo Nuovo” si prende atto di tutto, “così com’è. Nulla viene perciò compreso”. (Byung-Chul Han)
Le relazioni sono sostituite dalle connessioni. Poco importa se immateriali, perché nessuno vuole sentirsi straniero nel “Mondo Nuovo” che abita o andrà a popolare.
Nel Mondo che non c’è più, i letterati l’avrebbero chiamato “bovarismo”: quella “tendenza a costruirsi una personalità fittizia e a sostenere un ruolo non corrispondente alla propria condizione sociale”. [Treccani]
Oggi viviamo in uno stato di trance in cui la nostra coscienza viene costantemente modificata come le mele “Ogm”. “Per molte persone l’ingresso in questo stato di trance è un’esperienza piacevole; rappresenta una tregua ai pensieri dolorosi della vita quotidiana”. [Di Fausto]
Per altri invece sarebbe un tentativo di resistenza a un mondo non accettato, una ribellione allo status quo attraverso l’immaginazione.
L’alienazione prodotta da giornate lavorative interminabili e la carenza cronica di tempo libero rigenerante spingono l’”essere contemporaneo” a riporre una fiducia incondizionata nelle tecnologie di ultimissima generazione. Vedi: intelligenza artificiale.
Scrive il professor Umberto Galimberti: “L’alienato non è colui che vive fuori dal mondo, ma colui che, nell’alienazione, ha trovato l’unico modo per lui possibile di essere nel mondo”. E ancora: “Quando un mondo riesce a farsi passare come l’unico mondo, l’omologazione degli individui raggiunge livelli di perfezione tali che i regimi assoluti o dittatoriali delle epoche che ci hanno preceduto neppure lontanamente avrebbero sospettato di poter realizzare”
Allora per non morire d’alienazione come madame Bovary, forse è arrivato il momento di chiedersi: se lo scotto da pagare è quello di essere, ancora una volta, stranieri a stessi oppure allontanarsi e disubbidire una volta per tutte?
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“Il piacere dei banchetti non si deve misurare dalle squisitezze delle portate, ma dalla compagnia degli amici e dai loro discorsi”.
(Marco Tullio Cicerone)