DI EMILIANO RUBBI
Sapete quante persone hanno contratto il Covid nei cinema e nei teatri, da maggio a oggi?
Una, secondo Immuni.
Di fronte a un contagio attuale di 20.000 persone al giorno, nei teatri e nei cinema c’è stato solo un caso rilevato in sei mesi.
Questo perché i gestori sono stati bravissimi a seguire alla lettera i protocolli di sicurezza e hanno speso moltissimo per adeguare le strutture.
Ora, i contagi reali saranno di più, probabilmente, ma di sicuro si tratta di alcuni tra i luoghi più sicuri e controllati dove si possa andare.
Ma nel nuovo dpcm, il governo ha deciso di chiudere lo stesso i teatri e i cinema.
Perché?
Chiaramente, visto che il problema non erano i contagi, l’ha fatto per scoraggiare la gente a uscire per motivi ritenuti “futili”, di “intrattenimento”.
Perché se non esci di casa non corri il rischio di infettarti nel teatro o nel cinema, magari, ma nei mezzi di trasporto, in strada mentre discuti con gli amici, nell’androne del tuo palazzo, sì.
In pratica, i cinema e i teatri sono stati chiusi solo perché erano “sacrificabili”.
State a casa, guardate Netflix e Prime, al cinema ci andrete un’altra volta (sempre che i cinema riaprano, un giorno).
E questo ci dimostra quale sia la concezione non dico di questo governo, ma in realtà di tutto il paese, della cultura.
La cultura, in senso lato, è una cosa di cui in Italia si può fare tranquillamente a meno.
E non voglio entrare nel dibattito “cinema e teatri chiusi / chiese aperte”, perché sarebbe davvero molto lungo.
Non si può fare a meno dei centri commerciali, ad esempio, però.
Quelli restano aperti.
Delle mastodontiche costruzioni in cui migliaia di adolescenti e adulti si riversano in massa per passeggiare, consumare compulsivamente, fare lo struscio, spesso accalcandosi, possono seguitare a restare aperte.
Non sia mai che si debba negare il sacrosanto diritto di Gianni, 16 anni, di riunirsi con la comitiva e andare comprare l’ultima felpa della Nike limited edition.
Quella è una cosa che andrebbe scritta direttamente nella Costituzione.
Ecco, se leggete delle lamentele da parte degli esercenti, dei registi, degli addetti ai lavori, ma anche dei semplici appassionati, sappiate che il punto è esattamente questo.
Sapere che per il nostro Stato, la cultura, l’Arte, le loro vite, sono cose “sacrificabili”, anche se non c’entrano niente, dati alla mano, con l’aumento dei contagi.
L’Apple Store e Sephora, invece, no.
Producete, consumate, crepate, italiani.