SGARBI VITTIMA? NEANCHE UN PO’

DI GIOACCHINO MUSUMECI

Gioacchino Musumeci

 

Sgarbi non si rassegna, non può sopravvivere senza l’incarico di sottosegretario da cui aveva dato le dimissioni che rimanda all’esito del suo ricorso al Tar.
Leggo un pezzo sul giornale in cui Vittorio Sgarbi è definito “capra espiatoria degli odiatori” fomentati dalla stampa di Sx etc etc. Mi viene francamente da ridere, pare che presso Sallusti non siano troppo informati sulle pronunce della premier sulla questione Sgarbi, il quale ha fatto tutto il possibile per guadagnarsi la nomea di supercafone incallito sopra le righe istituzionali. Questa la risposta della premier alla domanda sulle dimissioni di Sgarbi: “Dopo il pronunciamento dell’Antitrust che come lei sa ha chiesto il governo, ritengo che la decisione di dimettersi sia quella corretta. Aspetto di incontrare Sgarbi a Roma per accogliere le sue dimissioni”. Dunque, se la Meloni sa cosa dice e credo che Sallusti non ne dubiti, è stato il governo a sottoporre la questione all’Antitrust. Vogliamo scrivere che l’Antitrust sia composto da odiatori di Sgarbi? Anche no.
Alla Meloni è stato fatto notare che l’ex sottosegretario ha chiesto che tutti i membri delle istituzioni siano sottoposti alla stessa verifica toccata a lui. Dopo un attimo di lieve imbarazzo la Meloni ha detto testualmente: “Quando ci chiederanno le verifiche le faremo ( Sgarbi le sta chiedendo proprio ora ma credo che nessuno gli darà udienza) ma se posso dire, io sono rimasta in attesa di elementi oggettivi, mi auguro che Sgarbi, che ha potuto fare affidamento su un governo che basa il suo giudizio su elementi oggettivi, oggi non si aspetti che quello stesso governo decida su altri non oggettivi perché sarebbe obiettivamente un po’ eccessivo. Dopodiché ho detto quello che penso e dopo il pronunciamento dell’antitrust accolgo le dimissioni”.
E’ limpido che nell’opinione della premier non vi sia traccia degli odiatori a cui fa rifermento il papiro sallustiano. Vittorio Sgarbi è “capra espiatoria” di sé, della sua illimitata cafoneria, unitamente alla cialtroneria da mercante spicciolo con cui ha redatto il suo indebito tariffario da conferenziere parallelamente alla sua attività di sottosegretario. Elementi che oscurano la figura del critico d’arte che addirittura autenticava falsi attribuiti a De Dominicis. Tutto ciò tralasciando i contanti con cui Sgarbi pagava il suo social media manager Dario Di Caterino. In tutto questo non ci sono genio e sregolatezza raccontati nel Giornale, c’è solo un imbroglione. E se secondo il Giornale il modello Ferragni va abbattuto poiché l’Antitrust ha multato l’influencer per un milione di euro, evidentemente va divelto anche il modello politico sgarbiano del furbetto volgare che col genio descritto nel Giornale ha ben poco a che vedere.
Unico neo ravvisabile nell’atteggiamento “politically correct” che la Meloni sfoggia per l’occasione prodotta da Sgarbi è la riverenza verso l’Antitrust che porta a considerare giuste le dimissioni. L’Antitrust non è un tribunale, è un organo indipendente che con una serie di norme tutela concorrenza e consumatori nel libero mercato. I componenti dell’Antitrust sono nominati dai presidenti di camera e senato e se la pronuncia è sfavorevole a Sgarbi evocare odiatori è una scemenza colossale quanto patetica. Tuttavia se le pronunce dell’antitrust sono così importanti e decisive, dovrebbe valere altrettanto la magistratura che ha dichiarato il fallimento delle società di Daniela Santanché. L’Antitrust non è un potere dello Stato ma la magistratura si e i crack societari oltre bugie in senato, scorrettezze della ministra verso dipendenti e fornitori non sono un giochino da tavolo. Alla Santanché bisognerebbe chiedere di dimettersi senza cincischiare troppo perché puzza come il pesce al terzo giorno. Attendere iniziative da una bugiarda che non si dimetterà mai è quanto meno imbarazzante se poi per liquidare l’imbarazzante Sgarbi ci si appella facilmente all’Antitrust “et rien ne va puls”.