IL DOLORE NON INSEGNA

DI CLAUDIO KHALED SER

 

Migranti, è passato un anno dalla tragedia di Cutro e l’indignazione si è spenta.
Il dolore è declinato al passato.
La giustizia ci ha consegnato un colpevole: uno scafista che però si dice innocente.
Era lì per caso sulla barca, guidava per passare il tempo.
Novantaquattro i morti accertati, di cui 35 minori.
Ottanta i sopravvissuti. I dispersi nel Mediterraneo invece non si contano più.
Questa notte l’ennesima barca é affondata.
A bordo, probabilmente, una cinquantina di Persone.
Tredici corpi ripescati, trentasette in fondo al mare.
L’ennesima tragedia, una notizia data in ultima pagina, sconvolti come siamo dalla guerra in Palestina.
Mentre contiamo i morti a Gaza, nelle acque tunisine si ripescano corpi che galleggiano.
La guerra tra l’Uomo ed il Mare non conosce tregua.
E’ passato un anno dalla tragedia Cutro, sembrano 100.
Ai vivi si sono asciugati i polmoni e quei morti non sanguinano più, sono numeri senza identità, nomi e cognomi che non hanno mai meritato un elenco sulla pagina di un giornale.
Lutti cortissimi dedicati ai parenti stretti. Il dolore collettivo, e l’indignazione, sono declinati al passato.
Non abbiamo voglia né tempo di addolorarci troppo.
Ogni volta che un barchino si rovescia vicino alle nostre coste e ci sanguina in salotto, il «mai più» viene ripetuto con meno vigore, come una litania stanca che nessuno ha voglia di recitare.
Ci promettiamo che serva di lezione ma non serve.
Non è nemmeno una lezione, a pensarci bene, poiché non insegna.
Il dolore non insegna.
Il “triste” degli annegamenti nel Mediterraneo è che sono raccontabili come qualcosa che avviene all’orizzonte, lontano da noi.
E’ un mare che ci appartiene solo a tratti, é un mare che per secoli è stato di tutti, ricchezza irrinunciabile di popoli e Paesi, oggi é un mare che non appartiene più a nessuno, uno dei pochi luoghi del mondo in cui gli Stati cedono volentieri il proprio territorio al vicino per non doversene occupare.
A noi basta la spiaggia per un chiosco-gelati e il mare utile per farci il bagno.
Il resto è un bidone liquido dell’umido abbandonato in una strada buia.
Dall’inizio dell’anno, quindi poco più di 40 giorni, OTTO barche sono affondate, oltre DUECENTO gli annegati-ripescati con le reti come fossero pesci.
Ne mancano altri DUECENTO, etichettati come “dispersi”.
Eppure sono lì, sotto le onde.
Ci siamo abituati all’orrore per non doverci fare i conti troppo a lungo.
Una memoria che diventa sempre più corta,
quando ci fa comodo.