DI CLAUDIO KHALED SER
Cresce la tensione alla frontiera tra TUNISIA e LIBIA dopo che il governo di Tripoli ha inviato 7 Brigate al confine per fronteggiare l’escalation dei disordini che da qualche giorno infiammano la regione di Ras Jedir.
Da tempo, la regione vicina al confine tra Libia e Tunisia è teatro di crescenti problemi relativi alla sicurezza, scaturiti da cambi radicali della gestione del valico e dall’esclusione delle forze che lo hanno gestito per anni.
Queste ultime sono state accusate di collusione in attività di contrabbando e altre violazioni in materia di sicurezza. Da parte sua, il consiglio comunale di Zuwara, la più importante città libica vicino al confine con la Tunisia, abitata principalmente da Amazigh (berberi) accusa il Governo di unità nazionale di Tripoli e il ministero dell’Interno di voler scatenare un conflitto tribale, minacciando al contempo “azioni disobbedienza civile” anche al complesso petrolifero e del gas di Mellitah, unico snodo per l’esportazione del gas libico verso l’Italia attraverso il gasdotto Greenstream.
Il primo ministro del Governo di unità nazionale libico, Abdulhamid Dabaiba, ha incontrato ieri il vice capo di Stato maggiore, Salah al Namroush, con il quale ha discusso della formazione di una “forza militare congiunta” per “proteggere” il valico di frontiera di Ras Jedir.
Durante l’incontro, Dabaiba ha sottolineato la necessità di “allontanare dal confine le tensioni politiche e tribali” e di “dare seguito al lavoro della forza militare” per la protezione del punto di confine.
Pur essendo un “fatto interno” libico, la decisione non é stata presa bene dal governo tunisino che teme un incremento delle violente manifestazioni proprio a ridosso del valico di frontiera e costringe Tunisi a militarizzare a sua volta il confine.
Nel frattempo il tribunale di Tunisi, accogliendo le richieste della Pubblica Accusa, ha CONDANNATO A MORTE quattro persone ritenute colpevoli dell’assassinio del leader comunista Chokri Belaid avvenuto nel 2013. Altri 7 imputati sono stati condannati a pene detentive che variano dai 25 ai 120 anni di prigione.
Difficilmente la sentenza di morte verrà commutata in pena detentiva dal Presidente che non intende fare “sconti” a chi attenta alla sicurezza dello Stato.