LA “QUESTIONE MORALE”

DI BARBARA LEZZI

BARBARA LEZZI

 

In questi giorni, come in tutti i periodi caratterizzati da arresti eccellenti, si rispolvera la “questione morale” che venne sollevata da Berlinguer nel 1981.
Berlinguer, però, non animò il dibattito su questioni giudiziarie ma strettamente politiche.
Perché la politica non deve essere subordinata alla magistratura ma deve vigilare, monitorare e intervenire sulla scorta dei principi che ogni partito si dà ben prima degli avvisi di garanzia. Qualche anno dopo, fu il giudice Paolo Borsellino a riprendere questo discorso cercando di trasmettere alla politica l’importanza del proprio ruolo invitandola a decisioni coraggiose.
Malgrado questi autorevoli esempi, niente è cambiato e si corre a mettere pezze alla debolezza dell’aver ceduto alle lusinghe del potere.
Come ci si può aspettare la fiducia dei cittadini se si aspettano le azioni di un altro potere dello Stato, quello giudiziario, per compiere delle scelte di coscienza?
Come si può avere un’immagine di forza, come si crede di rappresentare i bisogni dei cittadini se non si è pienamente svincolati da qualsiasi altro interesse?
Ho un grave difetto. Ho memoria, credetemi, è un gran difetto che non mi lascia pace.
Ogni volta che sento gli attestati di stima per Bersani, pur riconoscendo in lui una brava persona, non dimentico che ha votato sempre tutto, proprio tutto, per mantenere in piedi il partito qualsiasi cosa facesse.
Ogni volta che leggo che il governo PD-M5S ha lavorato bene, ricordo le elargizioni miliardarie a favore dei Benetton e di Arcelor Mittal.
E allora ricordo che Berlinguer disse nella famosa intervista: “…tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica.”
Vedete? Non faceva differenze Berlinguer, tutto ciò che era ostile al bene comune era sbagliato. Fare gli interessi del partito era, a suo giudizio, parte di una degenerazione.
Ora ricordo gli applausi e i meriti per Emiliano e per il suo metodo. E ricordo le offese, le denigrazioni, l’isolamento subito da Antonella, da me, dall’unico che rimase dalla nostra parte, Alessandro e da quegli attivisti che davvero avevano e hanno a cuore il bene comune. E prendo atto che per molti Emiliano è “solo” un trasformista come se non ci fossero degli interessi a esserlo! Eppure, tutto si sapeva già da allora. Tutto fu detto al momento opportuno.
Tutto quello che è successo ha agevolato, ed è imperdonabile, l’ascesa di Meloni, Salvini e Tajani che, purtroppo, imbarazzano il nostro Paese, umiliano i diritti e mortificano soprattutto i più deboli. È un po’ come sentirsi in trappola. Siamo in una gabbia di opportunismo e di fanatismo. Non si guarda in faccia la realtà ma ci si lancia nella difesa della propria parte politica senza fermarsi a riflettere se sia invece meglio sollecitare cambiamenti profondi che non possono non partire da un’analisi degli errori commessi.
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Barbara Lezzi