DI ALFREDO FACCHINI
8 Novembre 1926 il regime fascista arresta, nonostante l’immunità parlamentare, Antonio Gramsci.
Gramsci – rinchiuso nel carcere di Regina Coeli – è accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe.
Il processo, che vede sul banco degli imputati 22 comunisti, tra cui Umberto Terracini e Mauro Scoccimarro, si celebra a Roma, il 28 maggio 1928.
Gramsci viene condannato a vent’anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione.
Poco prima della condanna scrive alla madre: << … vorrei che tu comprendessi bene, anche col sentimento, che io sono un detenuto politico e sarò un condannato politico, che non ho e non avrò mai da vergognarmi di questa situazione. Che, in fondo, la detenzione e la condanna le ho volute io stesso, in certo modo, perché non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione … >>
Morirà il 27 aprile del ‘37. <<Un decennio – ricorda Marco Revelli – nel corso del quale scriverà (oltre ai 33 celebri Quaderni) centinaia di lettere, in condizioni proibitive affidate all’arbitrio dei suoi carcerieri, nei tanti luoghi di detenzione o di transito>>.
Resta il saggista italiano più letto al mondo. La sua lezione resta intramontabile.
<<Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia>>.
Nel primo anniversario della morte, Giuseppe Di Vittorio, lo celebra così: <<Il fascismo aveva compreso quale grande capo aveva in Antonio Gramsci il popolo italiano, e glielo rapì, assassinandolo gradualmente, freddamente, in oltre dieci anni di lento e sistematico supplizio>>.
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Alfredo Facchini