PD REVOLUTION: SCHLEIN COME CONTE, ABOLIRE IL JOBS ACT

DI GIOACCHINO MUSUMECI

Gioacchino Musumeci

 

“Firmerò il referendum della Cgil per abolire il Jobs Act”
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Queste le parole di Elly Schlein che suonano come uno sfratto alla cosiddetta “ala riformista” del partito, cioè i renziani che hanno reso irricevibile il Pd.
Così l’eresiarca Schlein ha fatto infuriare Matteo Renzi: “Schlein firma per abolire una legge voluta e votata dal Pd…come possono i riformisti restare nel Pd” ha tuonato Bin Salamin.
Primo: la legge è stata voluta dal Pd a immagine e somiglianza di Renzi, il quale più tardi non solo ha lasciato casa sentendosi estraneo, in piena pandemia ha tramato affinché il Pd non potesse governare con l’odiato Movimento. Ma i due partiti, volenti o nolenti, sono legati a filo doppio.
Il Pd a cui fa riferimento Renzi, attenzione, è morto ma non sepolto: i renziani non schiodano dal Pd perché presentati da Italia Viva non li voterebbe nessuno o quasi. Perciò la segretaria Dem ha molte gatte da pelare.
Ma come mai Schlein si rivela così tatticamente scaltra e fa una cosa di sinistra proprio ora lasciando i media basiti? Perché mentre Fdi cala, il Pd guadagna consensi proprio come il Movimento, una mossa popolare non può che aumentarli anche in vista di future alleanze. Ma se il Movimento si è depurato da tempo, un Pd più credibile comincia laddove Renzi viene dimenticato e il Jobs act è una reliquia peritura di cui liberarsi.
Secondo: la Schlein prima o dopo avrebbe fatto i conti col programma politico presentato alle primarie che l’hanno eletta. Un punto centrale di questo programma era proprio l’abolizione del Jobs Act, una pugnalata al cuore renziano del Pd. E Renzi non può tollerare che se le norme grilline sono state abbattute da un governo di estrema Dx fascistoide, concorre ad abolire il Jobs act proprio il partito della segretaria eretica che disconosce Renzi. Quando il karma t’aspetta al varco.
Al di là delle dinamiche piddine l’abolizione del Jobs Act è sublime.
La legge doveva cambiare il mercato del lavoro favorendo l’occupazione stabile cioè contratti a tempo indeterminato ma ciò si è verificato solo nel periodo che prevedeva una forte decontribuzione fiscale per le nuove assunzioni, che fantasia! Terminate le agevolazioni fiscali ed essendo possibili i licenziamenti illegittimi senza reintegro, il corollario del Jobs Act è consistito in contratti a tempo determinato e uso indiscriminato dei Voucher poiché l’assunzione a tempo indeterminato era sconveniente per le imprese. E norme i cui benefici si esauriscono in un breve lasso di tempo sono come candele consumate: si buttano via.
Nota: i politici snocciolano dati Istat sull’occupazione omettendo che l’aumento di occupazione non comporta aumento di posti di lavoro. “Occupati” e “posti di lavoro” non sono sinonimi, almeno per le statistiche Istat. L’istituto considera “occupato” chi ha tra i 15 e gli 89 anni nella settimana in cui sono stati raccolti i dati ha dichiarato di aver svolto almeno un’ora di lavoro retribuita. I sostenitori del Jobs Act sostengono che dal periodo in cui è entrata in vigore la riforma, anche modificata col “decreto dignità” nel 2018, gli occupati sono aumentati di circa un milione di unità. Tuttavia il dato è fittizio perché non rivela la percentuale di assunti a tempo indeterminato. Inoltre il Jobs Act favorì principalmente le assunzioni a tempo determinato perché per le imprese è più conveniente di quello indeterminato. Per questo, secondo gli economisti Marco Leonardi e Lorenzo Cappellari, sarebbe stato necessario introdurre dei costi legati al contratto a tempo determinato per rendere il contratto a tutele crescenti proposto nel Jobs Act più conveniente.
Conclusione: il Jobs Act non ha cambiato in meglio il mercato del lavoro, giustissimo abolirlo.
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Gioacchino Musumeci