IL CORAGGIO DI PEPPINO IMPASTATO

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

MAFIA
Maggio 1978
La “mafia” vista da Roma c’è, ma non si vede. Di questo cancro non se ne sa molto. Tranne che traffica con la droga, gli appalti e le canaglie che fanno politica. E’ più una conoscenza cinematografica. Pellicole come “Il giorno della civetta”, “Il sasso in bocca” o “Il padrino”.
Con i cerimoniali di affiliazioni, le lupare e le coppole. Le lotte tra una mafia arcaica ed una rampante. Colpa del cinema. In realtà “cosa nostra”, da qualunque lato la si guardi, è assatanata solo di <<piccioli>>.
Il primo ricordo di mafia fu il rapimento di Mauro De Mauro. Il giornalista siciliano sequestrato per ordine della mafia nel 1970 e mai ritrovato.
“Li fanno sparire coperti da colate di cemento. Murati vivi”, così al telegiornale.
“E’ gente brutta, ma qui da noi non ci sono”, così mio padre.
A 10 anni, quando non sai ancora come è fatto il mondo, ci vorrebbe uno stomachino d’acciaio per ascoltare quelle parole sconvolgenti.
De Mauro era un giornalista che dava fastidio. Un ficcanaso. Voleva sapere della morte di Enrico Mattei. Ricostruire le ultime 48 ore che il presidente dell’Eni aveva trascorso in Sicilia prima di schiantarsi con l’aereo nei pressi di Bascapè.
Il cronista, scrivendo il copione sulla vita di Mattei per conto del regista Francesco Rosi, sarebbe venuto in possesso di notizie urticanti, non di cronachette di costume. Per questo ne sarebbe stata decisa l’eliminazione.
Da quelle parti è la regola del silenzio.
Per chi non vive in Sicilia l’assassinio di Peppino Impastato è qualcosa di enorme. Un trauma. Sputtanare la gentaglia è il nostro pane quotidiano. Si chiama controinformazione e non si muore per quello. Nella capitale non si contano trafficanti, spacciatori, papponi, cravattari che si sbranano per il controllo di un marciapiede, ma assomigliano più a dei piazzisti con la pistola. Se qualcuno non ti vuole bene non finisci “sparato”.
Mi chiedo se avessi avuto il fegato di Peppino nell’affrontare a mani nude quei mostri. Probabilmente no. Un conto è la paura che ti scartavetra un secondo prima di una carica della polizia, di un faccia a faccia con i fasci, che solo l’adrenalina riesce a spazzolare via. Ed un conto è convivere con quella paura che si affila come un coltello giorno per giorno. La rabbia si urla, la disperazione si piange, ma la paura ti acchiappa alle caviglie e non ti molla più se vivi in un posto di assassini. Quello di Peppino è stato un atto di coraggio inaudito.
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Alfredo Facchini 
da RADISOL
IL SOGNO DELLA RIVOLUZIONE NELL’ITALIA DEL 1978
romanzo, Alfredo Facchini, edizioni Red Star Press – Hellnation Libri