DI IANA PANNIZZO
Fabio Cosio, con i due romanzi che portano il titolo “ Penitenziagite ( Genesi e Atti degli Apostoli)”, scrive un romanzo affascinante, che porta il lettore là dove il valore di una vita onesta giunge come un vento di bora in una fredda giornata d’inverno.
La storia ruota intorno agli ideali del nostro credo. Emerge da subito una fede genuina che parla d’amore verso la vita stessa manifestandosi nella comunione e fratellanza. Qui incontriamo un Dolcino bambino, che vuol giocare come tutti gli infanti della sua età. E’ altruista e dotato di grande intelligenza, caparbio e di animo buono e vive nell’umiltà di una vita semplice. La sua vita però è percossa da gravi ingiustizie e tuttavia si fa strada verso le vie di Cristo.
Già dai primissimi capitoli la chiesa( e non solo ) prende posizione rifiutandosi di vedere oltre le proprie considerazioni e supporre il perché è un quesito dalla semplice soluzione: la chiesa ha paura delle menti acute e intelligenti. Ne ha sempre avuta. Paura della libertà di pensiero che non vuole soccombere al suo volere e quindi viene spaccata in due provocando una scintilla che darà vita ad un incendio.
Verso la metà del romanzo troviamo un Dolcino adolescente che vuole predicare fra la gente. Se per certi versi ricorda San Francesco, per altri nel ragazzo di Prato Sesia, troviamo un coraggio che il santo di Assisi non ha avuto perché vissuto adeguandosi alla sua chiesa in una libertà piuttosto limitata.
Nel romanzo di Cosio, il potente bussa alla porta dell’umile e ribalta la sua vita con fare innocente attraverso gli ecclesiastici che si allontanano sempre più da Cristo.
Mentre si susseguono le vicende nel dolore e nella perdita, La storia s’infittisce e troviamo soggetti di spessore come Dante Alighieri e Guido Cavalcanti, delizia dell’intelletto, filosofia e poesia in una Firenze del 300 che vive la guerra tra Guelfi e Ghibellini in cui chi a servizio della supremazia pontificia, chi di quella dell’impero. Qui, anche la natura fa la sua selezione naturale e ci si rende conto degli orrori della guerra, della scia di dolore dopo la battaglia sui sopravvissuti nel corpo e nell’animo. Troviamo anche, a dispetto della ferocia dei fatti, un romanticismo delicato, fresco e nostalgico che racconta mestamente la verità e la menzogna come un serpente a due teste negli incontri improbabili di due anime affini quanto diverse in un tempo ostile.
In un’Italia lontana che ha scandito la storia di potenti e ribelli, troviamo un Dolcino più forte, più maturo che comincia a cambiare atteggiamento nei confronti di quella che dovrebbe rappresentare la giustizia poiché scorge una chiesa che fa solo politica e vuole che tutti stiano al proprio posto.
Inevitabilmente i pensieri si trasformano in azioni, alimentando la rabbia repressa come un vulcano in eruzione dopo un lungo logorio interno. Dall’implosione all’esplosione con conseguenze devastanti.
La lotta tra il bene e il male, due concetti che si fondono in un unico denominatore: la giustizia. Quello che diventiamo, è quello che siamo sempre stati. Forse l’autore, nell’intreccio di questa narrazione appassionante ci esorta a riflettere e a non giudicare con troppa superficialità come si è soliti fare, vuoi per “ i sentito dire “, vuoi perché le ricerche storiche riportano gli anni di una violenza feroce. Non dimentichiamo che dietro i grandi, i potenti, i ribelli, i calunniatori, gli eretici e i giusti sono vissuti e vivono uomini e donne in contrapposizione con il senso comune che storpia anche gli atti più puri e la liberà di pensiero. Una storia che si ripete, in altri versi, ma sempre attuale e forte e moralmente discutibile con l’ipocrisia di chi sta al vertice di una potenza che si fa universale.
Chiesa e politica. Un connubio che stona per non sentire in Dolcino, la voce dei giusti che perde la speranza.
Attraverso la storia di Dolcino, siamo invitati a riflettere sulle nostre azioni e non attribuire la responsabilità ad un’entità che chiamiamo Dio sia nel bene che nel male.
Con una struttura raffinata, l’interesse del lettore resta vigile in una trama che non perde mi tono e non lesina di colpi di scena. L’autore non perde mai il filo della storia nonostante le vite dei personaggi siano intrecciate. I capitoli lunghi ma con paragrafi brevi facilita la lettura e non stanca mai.
Stupefacente la scrittura limpida, lineare, perfetta ad ogni descrizione storica e nella creazione dei personaggi, rende interessanti anche gli avvenimenti che in un normale contesto possono annoiare.
Ci si astiene da ogni giudizio fino a che non si abbia piena consapevolezza delle motivazione che hanno reso famosa la persona di Fra Dolcino da Novara dipingendolo come uno spregevole blasfemo. Intorno a lui ruota una storia fatta di soprusi e silenzi. Fabio Cosio è un maestro nel far nascere sentimenti quali emozione, amarezza e sdegno.
Ci sarebbe molto da dire e non senza polemiche che risalgano alla notte dei tempi. Il romanzo ha una tematica profonda che spacca in due le opinioni.
Leggiamo la vita di un eretico, una persona che crede fortemente più di qualsiasi bigotto e fa paura.
Fa paura la sua forza, il suo coraggio, il suo ardire, la sua parola che trancia più di una spada.
Con uno stile veloce, diretto e incisivo, mai volgare neanche nei capitoli più audaci, l’autore ci esorta a dubitare e far si che un’ideale o una filosofia di vita non faccia vivere come passivi spettatori delle interpretazioni altrui, intrappolando in questo modo rabbia, dolore e disperazione; sentimenti che affermano la fragile natura umana, nella forza e nello sconforto influenzando il nostro modo di agire.
Spesso Dio si percepisce nel silenzio dei boschi e nell’amore verso il prossimo arrivando persino a sperare un mondo più giusto e solidale.
Fabio Cosio si aggiudica un posto nel podio come uno degli scrittori più sensibili.
Brillante e di notevole bravura ha saputo ricreare in ogni sua sfaccettatura, un personaggio carismatico e intrigante come Davide Tornielli conosciuto da tutti come Fra Dolcino da Novara, riscattandolo in parte, da una storia che non gli da merito.