DI UMBERTO SINISCALCHI
Incubo ad occhi aperti ieri sera, dalle 18,30 alle 20,15.
Un ingorgo. Non di auto ma di carrelli e gente esasperata.
Si rompe l’unica cassa attiva al super. Siamo una decina in coda. Altri si aggiungeranno.
All’inizio, niente di grave. Dopo dieci minuti i primi segni d’insofferenza.
E per il resto cinema verità.
Peggio del film “L’ingorgo”, 1979, regia di Comencini. Tognazzi, Mastroianni, Sordi, Stefania Sandrelli, Annie Girardot e tantissimi altri.
Tante storie che si incrociano e spesso muoiono lì, unite dalla sciagura, dalla solitudine e dalla voglia di raccontarsi.
Perché questo stramaledetto Covid ha esasperato tutti, anche i più miti e tolleranti.
“Al 15° un anziano signore osserva: “Ma è possibile che non abbiate un POS di emergenza?”. Applausi ma l’idea viene osteggiata da chi vuol pagare in contanti. Una Signora grida: “Uguaglianza!” senza sapere che qualcuno è sempre più uguale di noi.
E l’ansia, lo scorrere dei minuti che trasformano persone miti e discrete in veri alienati, potenziali killer.
“Basta! Liberateci”, urla un Signore che, dietro la mascherina, fa ormai fatica a respirare.
La commessa, lasciata sola a difendere la baracca, allarga le braccia e sospira: “Capita una volta ogni due anni, ci mancava solo il Covid…”.
Si conosce nuova gente, si dicono frasi di circostanza, si è rivoluzionari con il culo degli altri.
Uno spaccato di vita vera e non mediata.
Dopo un’ora una Signora chiede pietà e si arrende: “Lascio la roba e vengo domattina”, dice tra le lacrime. Niente da fare. “Soffri come gli altri”, sibila uno piovuto dagli anni Settanta, borsello pantaloni scampanati, Camperos e cintura de “El Charro”.
Noi si resta neutrali ma poi il tempo ruba la cortesia anche a noi.
Mi ascolto urlacchiare: “Se lo sapevo andavo dal bangladino” e in molti mi approvano.
Si fanno le 20. Basta! Un tizio con la divisa da runner pensa a quella “mezz’ora di corsa perduta”, una donna ingioiellata come la Madonna di Pompei chiede “pietà”, un architetto moderno ed “illuminato” si fa sfuggire: “Ma questi incapaci dovrebbero darci la spesa gratis. Buoni a niente, in galera o a rifare le strade!”.
Freni inibitori finiti. C’è voglia e bisogno di sfogarsi, come Fantozzi che invade un campo di calcio. Mi scopro giacobino ed insofferente quando chiedo di “mandare a casa il direttore del super”.
Gli animi sono saturi. Alle 20,15 si vorrebbe stare a casa. Colpa di quella schifosa macchinetta, che a mano facciamo prima.
D’improvviso il “Sì funziona!” urlato dalla cassiera non convince tutti. Molti sono presi da storie inaspettate ed irripetibili. Altri dallo sport nazionale del lamento. Altri non ci fanno caso.
Sì, la cassa riapre. E i bip dei codici a barre sembrano musica. Ce l’abbiamo fatta.
Qualcuno, tra il serio e il faceto, vorrebbe che quello strano ingorgo fosse durato ancora. È un trentenne slavato, alto, dinoccolato e con la timidezza scolpita sulla fronte. Credendo di non essere ascoltato, dice a sé stesso e al suo io sottoterra più del solito. “La mia solita fortuna. Cinque minuti ancora e mi avrebbe dato il numero…”