Un paradosso chiamato Georgia

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Pare che alla fine se la caverà il primo ministro slovacco Robert Fico, antieuropeista per eccellenza e in buoni rapporti con Mosca. Aggredito a colpi di pistola dall’ormai immancabile pazzo solitario, figura utilizzata alla bisogna come una sorta di istituzione internazionale, è in coma farmacologico, indotto dopo un complesso intervento chirurgico.

Certo, stona parecchio un premier antieuropeista, filorusso, che vede Zelensky come il fumo negli occhi, governare un paese con la tessera Nato. Ma se ci piacciono le cose grottesche, basta guardare a cosa sta succedendo in questi giorni in Georgia, dove folle non proprio oceaniche, ma comunque rumorose, sono state dirottate sul Parlamento di Tbilisi, impegnatissimo a votare la famigerata «legge russa», quella che obbligherà le Ong a registrarsi come «agenti di influenza straniera» quando più del 20% dei propri finanziamenti ha origine estera.

In teoria, la legge potrebbe essere bloccata dal veto del Presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili, una francese naturalizzata georgiana che si è formata alla Columbia University di New York. Ma una seconda votazione del Parlamento, anche a maggioranza semplice, quel potere lo neutralizzerebbe comunque.

Per coloro ai quali non piace l’attuale composizione del parlamento georgiano, quella legge sarà utile unicamente a Mosca per consolidare il potere su quello che appare ormai un vero e proprio fronte. Intrinsecamente, finirà per diventare un mezzo per affossare le più elementari libertà democratiche.

Davvero? Ma allora anche gli USA hanno affossato le più elementari libertà democratiche, e anche da un pezzo. Il «Foreign Agents Registration Act», che risale al 1938, impone alle società di lobbying e ad ogni Ong, foraggiate da «entità straniere», di registrarsi presso il Dipartimento di Giustizia e di segnalare relazioni intrattenute, attività svolte, ragioni e origini di tutte le somme versate e ricevute.

E nemmeno la UE scherza. Nel 2011 ha creato un «registro per la trasparenza», dove deve iscriversi qualsiasi Ong, società o persona che svolga attività di lobbying, vincolandosi ad un codice di condotta e riferendo periodicamente su riunioni, iniziative programmate, lettere divulgate, rapporti con i media, attività promozionali, conferenze, e segnalando ogni contributo volontario che entra nelle casse. Insomma, vogliono sapere tutto, a prescindere da chi ti finanzia.

Ora ci si indigna se un paese di tre milioni di abitanti come la Georgia, in cui il 90% delle 26 mila Ong operanti riceve finanziamenti dall’estero, decide di sottoporle a registrazione quando quei finanziamenti superano la soglia del 20%.

Insomma, come si dice in questi casi, di cosa stiamo parlando?