DA REDAZIONE
Andrea Sparaciari dalla redazione del giornale LA NOTIZIA –
Per i giudici le confessioni del falso pentito Scarantino furono pilotate, ma non per favorire la mafia.
Una mezza vittoria, che però lascia l’amaro in bocca al procuratore generale di Caltanissetta Fabio D’Anna. È quella uscita dal verdetto d’appello a carico dei tre poliziotti imputati al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono il giudice Paolo Borsellino e 5 uomini della scorta.
La Corte ha dichiarato ieri prescritti i reati contestati ai tre imputati, i poliziotti della Squadra mobile di Palermo, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. La Procura aveva chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Bo e 9 anni e 6 mesi ciascuno per Mattei e Ribaudo, perché avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a raccontare il falso, facendo condannare sette imputati innocenti. Avrebbero cioè creato a tavolino una falsa verità sulla strage di via D’Amelio.
In primo grado per Bo e Mattei, accusati di calunnia per aver agevolato Cosa nostra, era giunta la prescrizione del reato, perché era venuta meno l’aggravante mafiosa, mentre Ribaudo era stato assolto.
ESCLUSA L’AGGRAVANTE MAFIOSA PER I TRE EX AGENTI
“È stata esclusa l’aggravante mafiosa per tutti gli imputati ma, a differenza del primo grado, è stata riconosciuta la responsabilità dell’imputato Ribaudo, la cui posizione è stata dichiarata prescritta. Quindi è un mezzo accoglimento di quelli che sono stati i motivi di appello della Procura generale e un totale rigetto di quelli delle altre parti”, ha commentato D’Anna dopo il verdetto.
“Tre soggetti – ha continuato – li abbiamo sicuramente individuati, gli altri concorrenti sono deceduti o comunque nei loro confronti non si è proceduto. Sul mancato riconoscimento dell’aggravante mafiosa valuteremo, una volta lette le motivazioni della sentenza se proporre ricorso per Cassazione o meno”.
“SU VIA D’AMELIO UN DEPISTAGGIO COLOSSALE”
In aula la Procura aveva parlato di un colossale depistaggio e di un “tradimento” da parte degli agenti che “non può essere perdonato”. La tesi dell’accusa è che i tre ex agenti del gruppo Falcone-Borsellino, dal ‘93 guidato da Arnaldo La Barbera, avrebbero indotto Scarantino, Candura e Andriotta, a dichiarare il falso sulla strage. “Il depistaggio è stato fatto – ha detto il sostituto Gaetano Bono nellla requisitoria – ai responsabili veri, sia mafiosi che esterni a Cosa nostra, va riconosciuta la responsabilità. (…) La finalità non era quella banale di favorire la carriera di La Barbera, ma di agevolare la mafia. Gli imputati erano consapevoli che Scarantino inventasse. Supportare il collaboratore nello studio di ciò che doveva dire era necessario perché non stava dicendo la verità”.
L’AGENDA ROSSA SPARITA E I SOLDI DI LA BARBERA
Durante il processo di primo grado la procura aveva depositato le sommarie informazioni rese da alcuni poliziotti relative alla borsa del giudice Borsellino all’interno della quale era presente l’agenda rossa, poi scomparsa. E proprio indagando sull’agenda rossa che la procura nissena aveva ricostruito la sproporzione tra gli stipendi e il tenore di vita di Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002.
QUEI RAPPORTI INSANI TRA PROCURA DI CALTANISSETTA, MOBILE E SERVIZI DEVIATI
Il pg Maurizio Bonaccorso aveva aggiunto: “Dobbiamo partire dalle risultanze su La Barbera che ci danno l’immagine di un soggetto che è un ponte tra due mondi, quello di Cosa nostra e quello dei servizi deviati, entrambi interessati al mancato accertamento della verità. C’è stata un’anomala collaborazione, per non dire inquietante, tra la procura di Caltanissetta e il Sisde nella fase preliminare delle indagini. Questa collaborazione nasce dall’ostinazione del dottore Tinebra, allora procuratore di Caltanissetta, che all’indomani della strage sollecitò una collaborazione con il Sisde”. Per Bonaccorso, “Il Sisde veste di mafiosità Scarantino, che fino ad allora era stato un delinquente comune”.
LA BARBERA PONTE TRA SISDE E COSA NOSTRA
E ha aggiunto: “Il dottore Arnaldo La Barbera era finanziato dal Sisde in nero. Sono soldi che lui prendeva non per pagare i confidenti, ma per cose personali. Per pagarsi l’albergo, dove amava stare. Un tenore di vita assolutamente considerevole in relazione a quello che poteva essere la capacità reddituale di un funzionario di polizia. Situazione di una gravità inaudita. Il fatto che La Barbera venisse sovvenzionato vi sembra poco?”.
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