DI CLAUDIO KHALED SER
La furia omicida degli siraeliani continua ad abbattersi su quel che resta di Gaza City.
Ieri, in un solo giorno, 110 Palestinesi sono stati massacrati, erano quasi tutti donne e bambini che avevano cercato riparo nel campo degli sfollati vicino all’ospedale.
Ormai tutte le speranze sono nelle mani (e nelle armi) degli Hezbollah.
I Palestinesi guardano alle milizie libanesi sperando che il “boia”, nella sua cieca arroganza, compia l’errore di attaccarli.
Hassan Nasrallah ha più volte ribadito che, in caso d’attacco, le milizie Hezbollah userebbero tutte le loro forze per distruggere Israele.
Considerando che possiedono un arsenale militare di tutto rispetto, la minaccia non é considerarsi “parole al vento” come il ministro della difesa ebreo le ha definite.
Intanto si muove anche il fronte politico, quello che guarda al “dopo sterminio” perché é chiaro che comunque, un giorno, questa guerra finirà, anche se ancora non si conosce il quando.
Hamas gode sempre di un largo margine di vantaggio su Al Fatah e l’ascesa al comando di Ismāʿīl Haniyeh, é in continua crescita.
Colano a picco le quotazioni di Abu Mazen ritenuto dai Palestinesi un fantoccio nelle mani degli americani e di Israele.
Ma, negli ultimi giorni, si é parlato, con insistenza, di Marwan Barghuti (nella foto in copertina) , 65 anni, dal 2002 detenuto nelle carceri speciali israeliane con cinque condanne all’ergastolo.
Per molti osservatori, Barghuti sarebbe quello destinato a vincere a mani basse in caso di elezioni.
Io penso che sia un’ipotesi plausibile ma non concreta.
Barghuti, come ho scritto, è in carcere da molti anni.
Entrato in Al Fatah all’età di 15 anni, a 18 viene arrestato e imprigionato per aver partecipato a una sommossa.
In carcere impara l’ebraico e quando esce si iscrive all’Università di Bir Zenit dove si laurea in Storia e poi in Scienze Politiche.
Barghuti scala rapidamente le gerarchie interne di Al Fatah finché nel 1987 viene arrestato per aver partecipato alla prima intifada ed espulso in Giordania.
Potrà rientrare solo nel 1994, dopo gli Accordi di Oslo, per entrare nel Consiglio legislativo palestinese, dove diventa un sostenitore del processo di pace e della soluzione “due popoli due Stati”.
Arrestato e condannato (a 5 ergastoli dagli ebrei) Hamas ne ha sempre chiesto la liberazione, inserendolo nella lista dei prigionieri da scambiare con gli “ostaggi” israeliani.
Abu Mazen sa che se Barghuti tornasse in libertà per la sua cerchia sarebbe la fine.
E Netanyahu sa che Barghuti, una volta libero, potrebbe essere il leader capace di riunificare i palestinesi.
Tante ragioni per far pensare che le porte di quel carcere non si apriranno mai.
Ma in politica tutto é sempre il contrario di tutto.
Oggi, il leader di Hamas, Ismāʿīl Haniyeh, resta il candidato più autorevole a guidare la Palestina, in virtù della sua coerenza politica e del suo rifiuto ad accettare compromessi svilenti con quell’orda di barbari che appestano la terra Palestinese.
Ma stiamo parlando di un “dopo” che oggi ci appare lontano, molto lontano.
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Claudio Khaled Ser