Ma negare il cambiamento climatico, no…

DI MICHELE PIRAS

 

Qualcuno lo spieghi ai negazionisti da tastiera che non è dicendoci che nel 1967 a Roma c’erano 42 gradi o che a Helsinki ha fatto caldo anche nel 1998, che si contraddice quanto accade davanti agli occhi di tutti, fra ghiacciai in sofferenza, tropicalizzazione del clima, surriscaldamento dei mari, processi di desertificazione.
E che quel tema, che allude alla temperatura media del Pianeta non alla massima registrata nella Piana di Chilivani o a Vallermosa, agli effetti che questo produce non all’interesse di una o due ditte di automobili a venderti l’auto elettrica.
C’è chi specula anche sul green, tutto vero.
È il capitalismo, my dear.
Così come è vero che ogni attività umana comporta un impatto ambientale.
Ma negare il cambiamento climatico per fermare la speculazione è abbastanza demenziale e di retroguardia, altrettanto quanto ridurre tutto a una bugia dei poteri forti.
E il punto non è la vostra macchina diesel o il motore a scoppio (almeno non solo) ma una battaglia complessiva per salvare il Pianeta.
E la sfida vera della giustizia climatica è far camminare quelle non rinviabili politiche sulle gambe della giustizia sociale.
Che significa che le devono pagare innanzitutto coloro che hanno inquinato e che queste non possono essere scaricate sui poveri.
E se è vero che tutti un po’ inquiniamo, che ognuno può cambiare stile di vita e inquinare bene, è anche vero che c’è chi inquina e ha storicamente inquinato più di altri.
E dunque siano questi, innanzitutto, a risarcire miliardi di persone e, conseguentemente, il Pianeta.
Ma negare no.
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Michele Piras