Non è l’altro 11 Settembre

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

“Il giorno più nero della storia del Cile spuntò coperto di nuvole. La primavera alle porte, atterrita dall’orrore che si avvicinava, aveva deciso di negarci i primi tepori”.
Luis Sepulveda
È l’11 settembre 1973.
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Quel giorno muore Salvador Allende e con lui un esperimento politico senza precedenti.
I carri armati invadono le strade di Santiago e il Palazzo presidenziale, la “Moneda”, viene circondato.
Scrive ancora Sepulveda: “Il golpe fascista era iniziato, truppe e carri armati accerchiarono il palazzo, riecheggiarono i primi spari tra difensori e golpisti, le forze aeree bombardarono le antenne delle radio finché ne rimase soltanto una, quella di radio Magallanes.”
Allende combatte. Non scappa. Decide di non consegnarsi ai fascisti di Pinochet. Prima di morire rivolge il celebre discorso in cui parla direttamente al suo popolo.
“Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano, ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento.”
Il discorso viene trasmesso da “Radio Magallanes”, l’emittente del “Partito Comunista” cileno che viene distrutta subito dopo dai golpisti.
Così finisce alle 9:20 dell’11 settembre 1973 l’esperimento socialista del Cile.
Allende muore in queste ore: la prima ricostruzione “ufficiale” lo vuole suicida, con un mitragliatore regalatogli da Fidel Castro. Ma per gli oppositori di Pinochet il “Compañero Presidente” è stato assassinato.
Gabriel Garcìa Marquez, ricostruisce gli ultimi istanti di Allende in “La vera morte di un presidente”.
“Verso le quattro del pomeriggio, il generale di divisione Javier Palacio, riuscí ad occupare il secondo piano, con il suo aiutante capitano Gallardo e un gruppo di ufficiali. Lì, tra le poltrone finto Luigi XV, il vasellame di dragoni cinesi e i quadri di Rugenda del salone rosso, Salvador Allende stava aspettandoli. Aveva un casco da minatore, stava in maniche di camicia, senza cravatta e con i vestiti macchiati di sangue. Impugnava il mitra.
Allende conosceva il generale Palacio. Pochi giorni prima aveva detto ad Augutso Olivares che quello era un uomo pericoloso, perché manteneva stretti contatti con l’ambasciata degli Stati Uniti. Come lo vide apparire dalla scalinata, Allende gridò: “Traditore!” e gli riuscì di ferirlo ad una mano.
Allende morì a seguito dello scambio di raffiche con questa pattuglia. Poi, tutti gli ufficiali, quasi seguendo un rito di casta, spararono sul suo corpo. Alla fine, un ufficiale lo sfigurò con il calcio di un fucile.”
Documenti declassificati dimostrano come il governo degli Stati Uniti e la “CIA” abbiano cercato di rovesciare Allende già nel 1970.
L’ex segretario di Stato, Henri Kissinger: “Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli.”
È incalcolabile il numero delle persone che, durante quei 17 anni orribili, vengono uccise, torturate e fatte sparire nel nulla.
Nel 1998, il giudice spagnolo, Baltasar Garzón, emette contro Pinochet un mandato di cattura internazionale per la scomparsa di cittadini spagnoli durante la dittatura militare.
Viene arrestato a Londra dove si trova per farsi curare. Il 2 marzo del 2000 il ministro dell’Interno, Jack Straw, decide di liberarlo e di farlo tornare in Cile dove riesce a evitare il processo. Muore d’infarto nel 2006, a 91 anni.
Questo lurido personaggio, godendo della protezione dei falchi di Washington, non ha mai subito una condanna che sia una. È bene tenerlo a mente quando si parla degli “esportatori di democrazia”.
Il golpe dell’11 settembre lascia il segno anche nella politica italiana: in tre articoli a commento del golpe sulla rivista “Rinascita”, Enrico Berlinguer getta le basi del «compromesso storico», con la “Democrazia Cristiana”.
Il segretario del “Pci”, fa intendere che se anche il “Partito Comunista” avesse potuto avere responsabilità di governo da solo, non sarebbe stato al riparo da interventi esterni in stile cileno.
Ma questa è un’altra storia, quella di un paese a sovranità limitata.
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Alfredo Facchini