DI ALBERTO BENZONI
Proprio in questi giorni, Sassoli e Letta hanno rimesso in discussione il Mes e chiesto l’azzeramento del debito.
Ad esprimersi in questo modo due personalità sicuramente importanti, sicuramente europeiste e sicuramente esperte della materia.
E, allora, perchè questa sortita, apparentemente “fuori dal vaso”? Se queste cose fossero state dette, che so, da un dirigente grillino, apriti cielo; tutti a stracciarsi le vesti e ad inveire contro un populismo da ritardati mentali. Ma a Sassoli e a Letta non si poteva mancare di rispetto. Ma, forse, la peggiore cosa che gli poteva capitare era che il loro messaggio fosse interpretato in chiave interna e all’interno delle polemiche da cortile che colpiscono l’area di governo. Cosa che si è puntualmente verificata; con la ciliegina finale del richiamo all’ordine dal capogruppo Pd al Senato, tale Marcucci.
Il tutto a confermare il fatto che la nostra cultura politica è, ad un tempo, provinciale, complottista. Intellettualmente inerte, oltre che affetta da una pandemia che, nel corso di trent’anni non siamo riusciti a debellare: la”viltà ambientale”. E, ancora, del fatto che il Pd ha il capogruppo che si merita.
Immediatamente dopo, un salto di qualità nella contestazione di Polonia e Ungheria. Dove si è passato da un confronto sul merito (magari risolvibile in termini di soldi) a una questione di principio che tra l’altro colpisce alla base, i fondamenti stessi su cui si basa la costruzione dell’Europa. Il principale dei quali è il diritto/dovere della Commissione di formulare – sulla base di regole e di orientamenti già formalmente condivisi – delle direttive cogenti per tutti, di operare perché queste vengano rispettate da tutti e, eventualmente di varare sanzioni ove così non fosse. Un meccanismo contestato e ampiamente disapplicato in linea di fatto; ma ora rimesso in discussione in linea di principio: sostenendo che la Commissione è un organismo politico (come, del resto il Parlamento europeo) e che come tale è, per definizione, non obbiettiva e, quindi, non abilitata a formulare direttive e, soprattutto a giudicare, penalizzandoli, coloro che non intendessero rispettarle. Si apre così uno scontro, prolungato nel tempo e dall’esito incerto. Ma il cui immediato riflesso sarà quello di rinviare alla seconda metà del 2021 la messa in opera del Recovery Fund.
Si dirà che, a sostenere le ragioni della Commissione, ci sono anche i paesi frugali. Ma non è certo una buona notizia per l’Italia (oltre che per la Spagna e magari anche per la Francia). Loro sono in prima fila nel sostenere la condizionalità degli aiuti; ma nella misura in cui questa venga fatta valere anche nei confronti, diciamo così, “fiscalmente irresponsabili”. E nelle more di questo dibattito fanno di nuovo sentire la loro voce.
Ecco allora i Dambrovskis, già pubblici ministeri spietati nel caso della Grecia, ammonire Madrid e Roma per l’insostenibilità dei loro debiti e per i loro deficit in eccesso, aggiungendo, per chiarire meglio il concetto, che la moratoria di fatto di cui godono oggi con la “scusa della pandemia” non durerà a lungo; e che, alla fin fine, torneranno le vecchie regole (almeno nella misura del possibile…).
Il tutto, ovviamente, costituisce la tela di fondo di uno scontro già in atto e che può avere solo due sbocchi. O la dissoluzione acrimoniosa dell’Europa che abbiamo oggi; o il suo radicale, e per alcuni anche traumatico, cambiamento.
E’ in questo quadro che le prese di posizione di Letta e di Sassoli acquistano tutto il loro senso politico. Come altolà e avvertenza: “se volete cambiare le carte in tavola lo faremo anche noi; e nella direzione opposta alla vostra”. Così come quelle della Lega che esprime il suo pieno consenso alle tesi di Varsavia e di Budapest e ridà voce ai suoi esponenti sovranisti; nella convinzione che l’Europa non sarà in grado di rispettare i suoi impegni nei nostri confronti; e che, conseguentemente, il governo giallorosa che aveva basato tutte le sue carte sulla sintonia con Bruxelles, la Spagna, la Francia e soprattutto la Germania, sprofonderà con il mazzo in mano.
Attenzione: il tutto non si concluderà con l’ennesimo compromesso dell’ultim’ora. Anche e soprattutto perché a definire i termini di un’alternativa globale e chiara a tutti è stato Macron. Con una denuncia globale e senza sfumature del “sistema di Maastricht”; austerità, insensibilità ai temi dello sviluppo e della giustizia sociale e, a garantire il tutto, una regola dell’unanimità fatta apposta per impedire qualsiasi cambiamento. Rendendo chiaro a tutti che, se questa regola dovesse essere mantenuta, sarà il “tana libera tutti” con la possibilità per ogni paese e con chi ci sta, di costruire l’”Europa fai da te” secondo le sue esigenze.
E’ la formalizzazione di uno scontro aperto e senza esclusioni tra quelli che rimettono in discussione il sistema esistente nella speranza di costruirne uno nuovo, e quelli che lo vogliono mantenere in piedi a tutti costi, al costo di vederlo franare sotto i loro occhi. In un contesto in cui “più Europa” non significa più niente e “quale Europa” potenzialmente moltissimo.
Per chiudere, ci vorrebbe il solito pistolotto su quello che il governo e la classe politica italiano dovrebbero dire o fare. Ma sarebbe, temo, un pistolotto scarico…