“Anche i fasci piangono”

DI FABIO SALAMIDA

REDAZIONE

 

E dire che volevano “liberare la cultura italiana” dalla cosiddetta egemonia della sinistra. Ormai le vicende che interessano il Mic ricordano quelle telenovele sudamericane degli anni ’80, quelle con la biondissima  Grecia Colmenares. Mia nonna le guardava tutte e io la facevo irritare perché quando andavo da lei chiedevo lumi confondendo le “puntate”. Il motivo era semplice: gli stessi attori e le stesse attrici recitavano in più telenovele.

Le telenovele degli anni ’80

Non ho mai capito come facesse mia nonna a non andare in stato confusionale con quel frullato di racconti, tutti simili ma tutti diversi. Io a quel tempo guardavo i cartoni animati e i due robottoni più simili tra loro erano il Grande Mazinga e Mazinga Z. Quasi uguali ma profondamente diversi tra loro: uno volava senza pezzi aggiuntivi e l’altro no. E poi Tetsuya Tsurugi, che guidava il grande Mazinga, era fidanzato con Jun Honoo, quasi a volerci dire che un robot più grande era più affascinante agli occhi di una bella donna, ma non divaghiamo.

Anche i fasci piangono

Tornando al ministero della Cultura del governo del signor presidente Giorgia, il titolo della telenovela che potrebbe ispirare è “Anche i fasci piangono”. Sì, perché tutto quello che è accaduto e sta accadendo nello storico palazzo di via del Collegio Romano è fatto e disfatto da un partito: Fratelli d’Italia. Un partito che è passato dal 4 per cento al 29 per cento in pochi anni, ma ha mantenuto il materiale umano del partitino che era.

La colpa principale è della premier, che in questi anni ha mostrato un enorme limite caratteriale: non si fida di nessuno fuori dal suo cosiddetto “cerchio magico”. A gestire molte delle nomine dei ministeri, a cominciare da quella del suo ex quasi cognato, Francesco Lollobrigida, è stata sua sorella Arianna, anche lei storica militante della destra sociale. L’ex fidanzata del ministro dell’agricoltura e della cosiddetta “sovranità alimentare” ha voluto l’amico Alessandro Giuli prima alla guida del Maxxi e poi – dopo lo scandalo che ha costretto alle dimissioni Gennaro Sangiuliano – al ministero della Cultura.

“Nazione”, “patria” e “identità”

Per Giorgia Meloni è un ministero fondamentale, perché da lì si possono rilanciare le idee tanto care all’estrema destra. Da lì si possono rilanciare in modo subdolo immagini e simboli del ventennio. Da lì si possono esaltare i concetti di “nazione”, “patria” e “identità”. La premier ha l’ossessione di abbattere quelli che considera dei “fortini della sinistra”: parliamo di festival, concorsi letterari, musei, produzioni cinematografiche. Forse non si rende conto che le persone che in Italia si spendono per la cultura difficilmente condividono idee demenziali come i blocchi navali per respingere i migranti o le prigioni per tenerli rinchiusi in Albania. Non c’entrano i partiti politici: le persone di cultura hanno una sensibilità che lei non può comprendere.

L’egemonia culturale della sinistra può dormire sonni tranquilli

L’unica cosa che può fare, ed è quello che sta facendo disperatamente con il materiale umano scadente che si ritrova, è occupare poltrone. Dopo le dimissioni di Alain Sagiulian, umiliato dall’ex amante, Maria Rosaria Boccia, l’arrivo di Alessandro Giuli al ministero è stato subito turbato da una faida. È scoppiata nel suo stesso partito a causa della nomina di Francesco Spano, anche lui in uscita dal Maxxi e costretto a dimettersi a causa delle pressioni condite da insulti omofobi del partito della premier e dell’associazione degli invasati “pro vita”, quattro gatti che vorrebbero farci tornare al medioevo. Non sappiamo come andrà a finire la nuova puntata di “Anche i fasci piangono”, dopo la puntata di Report che annuncia “due novi casi Boccia” ne sapremo di più. Nel frattempo, la presunta “egemonia culturale” della sinistra può dormire sonni tranquilli: a destra non c’è né egemonia, né cultura.

 

Fabio Salamida da