BIDEN IN MEDIO ORIENTE

DI ALBERTO BENZONI



Cosa farà Biden in Medio Oriente? O, meglio, che cosa potrà fare?

L’opinione corrente è che non potrà fare nulla; perché condizionato, per non dire schiacciato, dall’eredità di Trump.

Per la verità, a orientare il corso della nuova amministrazione sarà non tanto il passato ma il futuro. Ciò che accadrà o sta accadendo nel mondo; non quanto detto o fatto in precedenza.

Nessuno prevedeva che il wilsonismo, stella polare del primo dopoguerra, sarebbe stato cancellato dal Congresso, riportando l’America verso l’ isolazionismo. E, prima di Pearl Harbor e della dichiarazione di guerra da parte di Hitler, che questa sarebbe tornata al centro del sistema mondiale. O, ancora, che Reagan da guerrafondaio sarebbe diventato principe della pace. O, infine, che Bush, ostile all’interventismo democratico, si sarebbe imbarcato, al seguito dei neocons e di Cheney, in due guerre ideologiche, l’una più disastrosa dell’altra.

Questo richiamo al passato ci consente di rispondere a una prima fondamentale domanda. Che ha risvolti politici; ma riguarda anche la psicologia collettiva.

La domanda riguarda lo stato del mondo; nel pieno di conflitti generalizzati e di non superate crisi economiche e sanitarie.

Come nel 1919, quando le tossine accumulate in conseguenza della prima guerra mondiale portarono fatalmente allo scoppio della seconda?

Come nel 1945, quando la vittoria nella seconda guerra mondiale portò a decenni di progressi in ogni campo; ma, nel contempo a conflitti tra opposte visioni del mondo, nell’ottica dell’epoca sempre a rischio di sfuggire di mano?

O magari come nel 1815 o nel 1648, quando la fine delle guerre napoleoniche o di quelle di religione aprì un’era di distensione e di concerto tra le nazioni, tale da consentire il lento rifiorire dell’Europa e una nuova fiducia nel progresso?

A mio parere, lo scenario di gran lunga più probabile è quest’ultimo. Perché un mondo sconvolto e dalle pandemie e dai conflitti non può permettersene di nuovi. E, soprattutto, perché i problemi che affliggono oggi l’umanità non possono essere affrontati in termini di Buoni e Cattivi e con paraocchi ideologici.

Ci vorrà del tempo. Ci saranno ritorni all’indietro e scoppi di irrazionalità. Ma la via è quella.

Tutto ciò ci riconduce al Medio Oriente. Dove, secondo gli addetti ai lavori, potrà cambiare assai poco. Sostanzialmente perché, per dirlo alla buona, gli Stati Uniti non sarebbero in grado di rimediare ai disastri che hanno contribuito a determinare..

Per ricordarli brevemente: un arco di conflitti che copre ormai l’intera zona dall’Afganistan all’Oceano Atlantico, molti nuovi, nessuno risolto; l’arrivo in forze nella zona di paesi e gruppi con agende molto diverse tra loro ma anche rispetto a quelle americane. E, infine, sofferenze insopportabili per le popolazioni, aggravate dalle sanzioni Usa (vedi Iran ma anche Siria e Libano).

E, allora, come rimediare? La risposta è più semplice di quanto si pensi.

E lo è perché i disegni del passato non sono più proponibili. L’interventismo democratico, per nostra fortuna, non è più di moda; anche perché la sua pratica non farebbe che aumentare il numero dei nemici. Ancora, le grandi alleanze proposte da Obama al Cairo (con la borghesia “laica” e i “democratici” musulmani) non hanno superato la primavera: fortemente sopravalutate le loro forze e la loro maturità politica; fortemente sottovalutate le resistenze e la ferocia dei regimi al potere. Politicamente fragili, d’altra parte, i suoi progetti di normalizzazione con l’Ira; e francamente insensata la convinzione di Trump di dettare legge nell’area senza impegnare né un uomo né un soldo; fino all’ultima e delirante proposta di ritirare le truppe dal’area e, contestualmente, di bombardare i siti nucleari dell’Iran.

Per risalire la china occorrerà, allora, per prima cosa, evitare di lanciare proclami e di esporre grandi obbiettivi. Con il rischio, molto serio, di farsi impallinare al primo ostacolo. Si tratterà, allora,di riprendere i contatti e avviare dei processi condivisi; procedendo a fari spenti.

Così, nel confronto con Israele, niente polemiche con Netanyahu (anche perché, a trascinarlo verso il baratro, basta e avanzano i problemi interni). Niente pressioni sul tema due popoli/due stati; perché, per ora bastano e avanzano la ripresa dei rapporti con i palestinesi e l’esigenza pressante di migliorare le loro condizioni di vita.

E ancora, sì agli accordi Israele/Emirati; ma come primo passo di un più generale processo di pace.

E, ancora, niente processi pubblici ai sauditi; basterà fargli sapere che il “rapporto speciale” non c’è più; e soprattutto che non ci sarà alcun sostegno al suo avventurismo internazionale, presente e futuro.

Con l’Iran, nessuna fretta e nessun do/ut/des sul nucleare; ma l’impegno per avviare un dialogo e un accordo più generale: il pieno inserimento nell’ordine internazionale in cambio della rinuncia ai suoi disegni espansionisti.

Per chiudere con la Siria e il Libano, fine delle sanzioni legate ad obbiettivi irrealizzabili (la caduta di Assad e l’eliminazione di Hezbollah dalla scena politica libanese); ma con il proposito di raggiungere obbiettivi più modesti ma sempre significativi in modo consensuale.

Messaggi recepiti? Molto probabilmente sì. Così, per i servizi di sicurezza israeliani l’Iran è molto meno minaccioso di prima. E, a contenerne le residue velleità, bastano e avanzano interventi mirati nello spazio siriano. I sauditi hanno capito che l’asse preferenziale non c’è più. E soprattutto l’Iran lancia segnali che convergono tutti nella stessa direzione.

In primo luogo, sottoponendo al controllo dell’Aiea il suo processo di arricchimento dell’uranio. Così da presentarlo come reazione alla rottura e al sabotaggio dell’accordo del 2015; e come merce di scambio in un nuovo e più ampio negoziato. E ancora reagendo in modo molto misurato ai molteplici attacchi subiti. E, infine, dando via libera al negoziato tra Libano e Israele; dando per scontato che il suo eventuale successo toglierà ad Hezbollah qualsiasi pretesto per mantenere il suo stato di milizia superarmata.

In un mondo razionale ci sarebbero tutte le basi per sperare nel futuro…