DA REDAZIONE
Rem dalla redazione di REMOCONTRO –
«Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno oltrepassato la linea rossa in Siria e rischiano di provocare un’escalation ingiustificata delle tensioni nella regione», ha dichiarato in un’intervista al canale tv siriano al Julani, leader del gruppo islamista Tahrir al-Sham. Quasi da composto diplomatico, mentre Israele, approfittando del vuoto di potere a Damasco, sta bombardando da giorni i siti militari della Siria, cancellandone praticamente flotta ed aviazione.
Aviazione israeliana e libero bersaglio
Secondo più fonti, almeno 400 gli obiettivi colpiti dall’aviazione israeliana. Tel Aviv ha anche schierato unità militari nella zona cuscinetto lungo le alture del Golan, che separano la Siria da Israele, contravvenendo all’accordo di cessate il fuoco mediato dalle Nazioni unite nel 1974. Nel mirino israeliano è finito anche tutto ciò che potrebbe avere un minimo uso militare: istituti scientifici, laboratori, aeroporti. Vuole un vicino disarmato tra lei e l’Iran.
Al-Julani, ex terrorista moderato
Mohammad al-Julani, considerato uno dei terroristi più pericolosi precedentemente affiliati ad al-Qaeda, dopo la presa di Damasco diventa modello di moderatezza rispetto al governo del vicino Netanyahu. In questa fase Damasco non verrà trascinata in conflitti che potrebbero portare a ulteriore distruzione, sottolineando che la ricostruzione e la stabilità sono le priorità principali. E senza dirlo esplicitamente avverte per ora educatamente Israele di non esagerare, annota Francesca Luci sul Manifesto. Nessuna guerra islamica a Israele. E apre ad occidente, per ospitare nuove ambasciate.
Parla anche dei due paesi sostenitori del deposto presidente Assad: «La Russia avrà l’opportunità di rivalutare le sue relazioni con il popolo siriano. L’Iran ha rappresentato un pericolo per la Siria, tuttavia non consideriamo il popolo iraniano come nostro nemico».
I Paesi arabi si interrogano
I paesi arabi, dopo aver passato momenti duri con la Siria sotto il dominio di Assad, si sono riuniti ieri in Giordania a sostegno di un «processo di transizione inclusivo», in cui siano rappresentate tutte le forze politiche e sociali siriane. Il documento finale sottolinea che «questa fase delicata richiede un dialogo nazionale globale e la solidarietà del popolo siriano con tutte le sue componenti. Costruire una Siria libera, sicura, stabile e unita che il popolo siriano merita dopo molti anni di sofferenze e sacrifici».
America di Biden-Blinken in coda
Antony Blinken, ministro esteri Usa uscente, ospite tra il mondo arabo, insegue e ribadisce, non sapendo cosa deciderà di fare il prossimo nuovo presidente. «L’accordo invia un messaggio alla nuova autorità ad interim e alle parti in Siria sui principi cruciali per garantire il sostegno e il riconoscimento tanto necessari», ha concluso. Evidente che la nuova Siria ha bisogno di giganteschi investimenti per la ricostruzione del paese. E –per non essere troppo idealisti-, i probabili/possibili investitori stanno ponendo le loro condizioni alla nuova amministrazione siriana. Occorre vedere come i conquistatori di Damasco intendono seguire una riconciliazione nazionale.
La Russia nel frattempo
La Russia intento sta ritirando il suo esercito dalle linee del fronte nel nord della Siria e dagli avamposti sui Monti Alawiti, ma è altamente improbabile che abbandoni le sue due basi militari chiave nel Paese, Tartus presenza chiave della sua marina militare nel Mediterraneo. Pronta a contrattare anche rispetto a quella parte di popolazione sciita-alawita ancora fedele agli Assad, per la pacificazione reale del Paese.
La Turchia sulla scia di Israele
Presenza militare ingombrante e operativa in casa altrui, anche la Turchia oltre ad Israele. Bersagli principale, ancora e come sempre i curdi. Il gruppo principale nel mirino di Ankara sono le Forze Democratiche Siriane, formate nel 2015 con il sostegno degli Stati uniti, che sono state decisive nel contenere e poi sconfiggere l’Isis di Al Baghdadi allora vincente. Scontri tra l’Esercito nazionale siriano inventato da Ankara e le forze curde nel nord-est del paese.
L’economia per tornare a vivere
Il Paese cerca di tornare rapidamente alla normalità e di restaurare almeno la sua economia di sopravvivenza. Negli ultimi due giorni, la lira siriana si è rafforzata di almeno il 20% rispetto al dollaro statunitense, a seguito dell’afflusso di siriani da Libano e Giordania e della fine dei rigidi controlli sul commercio di valute estere, ma l’analisi di Pierre Haski, di France Inter, ci dice su Internazionale che il processo di normalizzazione sarà lungo, sofferto e minacciato. «La Siria è un terreno di scontro regionale e la sua sovranità è tutto tranne che garantita».
Una “vecchia realtà”
«I tre paesi che hanno bombardato la Siria lo hanno fatto per motivi diversi. Parliamo della Turchia che ha colpito il nordest; degli Stati Uniti, con obiettivi nel centro; e di Israele, che si è concentrata sul sud. Ognuno dei tre stati ha le sue mire e il suo ruolo nei conflitti in corso in Medio Oriente. Senza che ci fosse alcun coordinamento, tutti e tre gli eserciti hanno avuto il riflesso automatico di bombardare il territorio siriano in un momento in cui il paese compie un salto nel vuoto».
Le ragioni irragionevoli dei tre che bombardano
I fatti letti meglio. «Il primo giorno dopo la caduta di Assad non è stato un giorno di pace ovunque, e a questo punto è probabile che nel nordest della Siria cresceranno gli scontri. La Turchia di Erdoğan ha denunciato l’influenza del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) sui gruppi curdi siriani. Ankara vorrebbe sbarazzarsene o almeno creare una zona cuscinetto alla frontiera di cui il suo esercito e i suoi alleati possano avere il controllo».
Tra Biden e Trump
La situazione si complica se teniamo conto del fatto che -per ora- le formazioni curde anti Isis sono protette dagli Stati Uniti e che circa novecento soldati delle forze speciali americane sono dislocati nella regione. I combattenti curdi hanno partecipato alla lotta contro il gruppo Stato islamico e alla riconquista della capitale Raqqa al fianco degli occidentali. Durante il suo primo mandato, Donald Trump aveva voluto riportare a casa i soldati statunitensi –ci ricorda Pierre Haski-, ma era stato convinto a non farlo dai suoi generali e dai suoi alleati europei.
America seminascosta e incerta
Da domenica gli Stati Uniti bombardano diverse postazioni del gruppo ‘Stato islamico’, l’ex Isis, che non è stato ancora del tutto debellato. E paradossalmente queste operazioni statunitensi possono essere interpretate come un sostegno ai nuovi padroni della Siria, che non vorrebbero la rinascita di un’organizzazione di cui sono nemici. Di Israele già s’è detto, con l’Egitto ha vivamente protestato contro l’ennesimo colpo di mano dell’iper armata e incontinente potenza vicina.
«Tra le sfide che attendono le nuove autorità siriane, una delle più complesse sarà quella di ristabilire la sovranità del paese rispetto agli attori stranieri che si comportano come se lo stato siriano non esistesse. Sarà un percorso difficile e pieno di ostacoli».
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Articolo a firma REM dalla redazione di
16 Dicembre 2024