Un Natale che non crede più alle favole

DI CLAUDIA SABA

 

È Natale.
Con le sue luci scintillanti, stelle comete, babbi Natale appesi alle finestre.
Ai margini delle città, pallidi lampioni illuminano appena tremolanti figure coperte da cartoni.
Sono le sagome dei clochard rannicchiate su vecchie panchine.
Fuori da una stazione, in qualche gelido parco di periferia, lontani da occhi indiscreti.
Nessuna luce per loro, nessuna cometa che indichi una strada.
Domani sarà Natale.
Ma non per loro.
Abbandonati tra i rifiuti della città dove il Natale non si affaccia mai.
Noi ci voltiamo, ignorandoli.
Ma i clochard ci osservano.
Ci guardano mentre abbassiamo lo sguardo davanti ai loro occhi.
Mentre passiamo davanti a loro con i nostri vassoi colmi di dolci, di pane caldo e leccornie.
D’amore inaridito, ipocrita.
Un amore che non scalda nemmeno noi.
Si fa fatica a credere che l’amore sia questo.
Fingere di essere buoni, distribuire baci e sorrisi falsi per un Natale migliore.
Intanto ci allontaniamo dall’amore.
Quello che scalda e non confonde.
Che da’ certezze e non effimere illusioni.
Non sappiamo più cosa sia l’amore.
Solo i bambini credono ancora a certe favole.
E l’amore è una favola.
La più vera e potente.
Che trasforma in relata il nostro sogno di oggi.
I clochard sono come i bambini.
Credono ancora nelle favole.
A qualcuno che possa guardarli come esseri umani e non rifiuti.
Che tenda loro una mano.
Che in questa notte di sogni e sorprese si compia il più grande miracolo che solo l’amore sa fare.
“Curare”.
Ogni giorno.
Non solo a Natale.
.
Claudia Saba