Il truffatore (prima parte)

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Donald John Trump: la più grande truffa del secolo.

Nato nel 1946 a New York, figlio del costruttore Fred Trump, il giovane Donald cresce nella bambagia di una ricchezza forgiata sul mattone e sull’ambizione.
La New York degli anni ’80 fa da palcoscenico per il suo debutto come magnate e personaggio pubblico. Trump si candida come il re della mondanità, un costruttore di grattacieli, casinò scintillanti, e illusioni.
Il Trump Tower, monumento alla sua megalomania, sembra urlare: “Io sono il sogno americano.” Ma quel sogno è un castello di carte. Le sue imprese, alimentate da debiti, bancarotte e controversie legali, non sono altro che una serie di bolle che scoppiano una dopo l’altra. I suoi edifici, costruiti sulle fondamenta di promesse finanziarie non mantenute, sono le metafore perfette del suo ethos: apparire prima di essere.

E Donald intuisce quale è la migliore strada da percorrere

Trump capisce presto – è questa la vera intuizione – che il suo talento non è costruire palazzi, ma costruire un’immagine. Sfrutta la televisione con The Apprentice, trasformandosi in un’icona pop, una sorta di moderno Mida che promette successo a chi vuole cogliere le opportunità. Tutta fuffa.
Nel 2016, Trump – come fece Berlusconi prima di lui – per scongiurare guai peggiori si butta in politica.
Un outsider che si presenta come un uomo del popolo, pur incarnando l’élite più spregiudicata d’America. È il paradosso dei paradossi: un uomo del Sistema contro il Sistema. La sua retorica, incendiaria e polarizzante, si basa su promesse semplici per problemi complessi, sulle paure e i pregiudizi di chi si sente tradito o escluso.

E un pezzo di America gli crede “se lui può, posso anche io”

La truffa funziona. Perché è un maestro nel far desiderare agli altri di essere ingannati. “Se lui può, posso anch’io”, pensa un pezzo d’America. Qui un uomo nato con il cucchiaio d’oro in bocca, si traveste da campione del popolo. Il suo slogan, “Make America Great Again,” non è altro che un raggiro linguistico: un’idea vaga e malleabile che ogni elettore può plasmare a proprio piacimento.
Come Mussolini quando gridava ai quattro venti: il Fascismo è tutto.

E arriva alla Casa Bianca

Da presidente, Trump governa come ha sempre vissuto: tra sparate, sfide roboanti alle istituzioni e una narrazione di sé stesso come vittima e vincitore allo stesso tempo. I muri sono il leitmotiv del suo mandato: il muro con il Messico, il muro tra America e il resto del mondo, il muro tra i suoi seguaci e chiunque osi criticarlo. Trump diventa il riflesso di un’America spezzata in due, dove le disuguaglianze economiche, le fratture culturali e la rabbia delle periferie trovano voce in un uomo che promette di scardinare tutto ciò che era stato prima di lui, ma che lo ha fatto diventare il Trump che conosciamo.

Ma non tutto va bel verso giusto, la bassa ideologia paga pochissimo

Ma come avviene con tutti i dittatori e dittatorelli, mentre si erge a protettore del popolo, le sue politiche favoriscono solo e soltanto la sua élite.
L’epilogo del suo mandato, segnato dall’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, è l’apice tragico di una leadership che ha trasformato l’odio in una bassa ideologia.
Trump lascia la Casa Bianca non come un leader politico, ma come un performer, e così si appresta a tornarci.
.
Alfredo Facchini