DI ALFREDO FACCHINI
Il capitalismo in Occidente
In Occidente il Capitalismo non se la passa benissimo. Non perché ci sia un nemico alle porte. A divorarlo sono i suoi stessi figli. Dopo aver vinto la lotta di classe è sotto agli occhi di tutti il fatto che negli ultimi 50 anni ricchezza e potere si sono accentrati nelle mani di ristrettissime élite. Da un lato, l’élite tradizionale, scolpita nel marmo della ragione, che parla il linguaggio inamidato delle istituzioni e dell’ortodossia economica. Dall’altro, una élite rampante e spregiudicata, che rifiuta l’etichetta del potere pur occupandone il trono. Un duello di posture e valori, dove l’élite classica si erge a difensore del sistema che ha costruito, accusando il populismo di essere il nemico della ragione, mentre l’élite populista usa le stesse leve del potere per sventolare la bandiera dell’anti-sistema. La prima predica la stabilità, il progresso razionale e la globalizzazione come destino; la seconda grida alla rivolta, promettendo un ritorno a un ordine più puro, dove il cittadino impaurito o rancoroso può illudersi di trovare rifugio.
Un gioco di specchi
Siamo di fronte a un gioco di specchi, dove entrambe le parti si nutrono l’una dell’altra. Due truffe. L’élite populista è figlia dell’élite tradizionale, forgiata dal suo declino e dalla sua incapacità di includere le periferie culturali e sociali del proprio dominio. Laddove il tecnocrate vede numeri, il populista vede emozioni. Dove uno erige barriere intellettuali, l’altro le demolisce con slogan e invettive.
In questa arena le due élite sono pronte a contendersi il controllo di risorse, informazioni e narrativa globale. Nel centro dell’Impero, gli Stati Uniti, il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump sembra segnare due gol di vantaggio alla squadra dei guastatori. Trump è il loro capitano indiscusso. Per lui, l’unica cosa che conta è segnare, anche a costo di ribaltare tutte le regole del gioco.
La “spalla” ideale di Trump
Come spalla Trump si è scelto il magnate più sfacciatamente ruffiano e senza scrupoli del pianeta: Elon Musk. Questa innaturale alleanza tra potere politico e dominio tecnologico disegna contorni inquietanti di un futuro distopico, l’ombra di un disastro imminente. Il fischio d’inizio di questa stagione politica è già suonato. A rimetterci, come al solito, saranno i cittadini, spettatori disarmati e raggirati da un teatro politico grottesco. Le élite che si affrontano con ostentata ferocia non sono altro che le due facce di una medaglia coniata dalla stessa mano, unite da un destino comune: la gestione del potere per il potere.
Mutano i toni, ma sono identiche le colpe.
In questa farsa infinita, gli unici vincitori sono sempre loro, i custodi del potere.
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Alfredo Facchini
(continua)