DI ALFREDO FACCHINI
L’idea che gli Stati Uniti possano diventare una teocrazia può sembrare esagerata.
Eppure, osservando il ruolo che la religione ha assunto nella politica di Donald Trump, il rischio di una deriva teocratica appare meno assurdo di quanto si creda.
La foto, nella Casa Nera, di tutto l’entourage che prega attorno all’uomo moralmente più corrotto del pianeta è raccapricciante.
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Teocrazia ma non in senso classico
Chiariamo subito: non si tratta di una teocrazia nel senso classico, con un clero al potere e leggi basate direttamente sulle Scritture, ma di un sistema in cui la religione viene utilizzata come arma politica per modellare lo Stato secondo i principi di una visione cristiana ultraconservatrice. Una teocrazia senza preti, ma con politici predicatori Negli ultimi anni, il Partito Repubblicano ha progressivamente abbracciato un’ideologia politica che mescola nazionalismo e cristianesimo, promuovendo l’idea che l’America sia una nazione fondata su principi divini e debba essere governata di conseguenza. Trump ha alimentato questa barzelletta, costruendo un’alleanza con i leader evangelici e adottando una retorica che vede i valori cristiani come fondamento dell’identità nazionale.
Un tentativo di riorientare la società americana
Questo si traduce in un’influenza religiosa crescente sulle politiche pubbliche: il controllo sulla Corte Suprema ha permesso di limitare il diritto all’aborto (Roe v. Wade), le scuole private cristiane ricevono sempre più finanziamenti, e i diritti delle comunità LGBTQ+ vengono erosi nel nome della “libertà religiosa”. Questi sociopatici spingono per una serie di rivendicazioni che mirano a riorientare la società in base ai valori cristiani tradizionali. A queste istanze si aggiunge poi un sostegno incondizionato a politiche pro-Israele, alimentate da motivazioni teologiche. Ciò che rende l’America di Trump pericolosamente vicina a una teocrazia è l’uso della religione da un lato, come strumento per legittimare il potere politico e dall’altro, per bollare gli oppositori come nemici non solo politici, ma morali. I democratici vengono descritti come anti-cristiani, i progressisti come minacce ai “veri valori americani”. Questa strategia crea una divisione netta: da un lato chi difende il “disegno divino” dell’America, dall’altro chi lo minaccia.
Una mentalità non diversa da quella dei regimi teocratici, dove il dissenso non è solo politico, ma eretico
La differenza è che negli Stati Uniti il potere religioso non è ufficialmente nelle mani di una Chiesa, ma viene esercitato attraverso leader politici che usano la fede per consolidare il proprio dominio. Il rischio maggiore di questa deriva teocratica è che non si limiti alla retorica, ma si traduca in leggi e politiche che riflettono una visione religiosa ancora più conservatrice. Se la politica diventa uno strumento per realizzare un’America cristiana a immagine e somiglianza dell’elettorato evangelico, i principi costituzionali di laicità e pluralismo fanno una brutta fine.
Religione come strumento del potere
L’America di Trump si sta avviando a grandi passi verso qualcosa di simile a una “teocrazia”, in cui la religione non è la fonte ufficiale del diritto, ma di fatto ne determina le scelte politiche e sociali a favore di un’élite religiosa. Quando la legge riflette sempre più i dogmi di una sola fede, quando il dissenso è visto come una minaccia morale, il confine tra democrazia e teocrazia si assottiglia vertiginosamente.
E in quel caso, la separazione tra Stato e Chiesa sarà solo un pallido e ingombrante ricordo.
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Alfredo Facchini