DA REDAZIONE
Roberto Bertoni da ARTICOLO VENTUNO –
Il Servizio Sanitario Nazionale non appartiene a questa o a quella parte politica: è di tutti ed è una delle più grandi conquiste democratiche che siano avvenute nel decennio dei diritti, quegli anni Settanta che furono sì attraversati dalla violenza e dalla furia stragista ma anche da una ventata di rinnovamento che ha cambiato per sempre, e in meglio, il nostro Paese. Oggi servirebbe una stagione simile, considerando che ingiustizie e diseguaglianze hanno ormai raggiunto l’apice, mettendo a rischio la tenuta stessa della nostra democrazia, ma la politica è debole e incapace di far fronte alla richiesta di efficienza, servizi e dignità che giunge innanzitutto dalle fasce sociali più deboli.
Nino Cartabellotta, presidente del GIMBE, finito nei giorni scorsi al centro di polemiche sulle quali preferiamo sorvolare, delinea un quadro allarmante delle condizioni in cui versa la sanità pubblica, coniugando questo disastro alla progressiva disaffezione della cittadinanza nei confronti del voto e delle istituzioni e mettendoci in guardia sui rischi che questo progressivo scivolamento verso la privatizzazione dei servizi comporta per la comunità. Ne vien fuori un’analisi lucida dalla quale, se vogliamo difendere la Costituzione sotto attacco, non possiamo prescindere.
Al di là delle polemiche politiche che ne sono derivate, la Fondazione GIMBE ha rilevato, che dei sei decreti attuativi previsti dal Decreto legge 73/2024 sulle liste d’attesa ne è stato pubblicato solo uno. Che significa in concreto? Quali decreti attuativi mancano?
A sei mesi dalla conversione in legge del Decreto 73/2024, la maggior parte delle misure previste per abbattere le liste d’attesa è ancora sulla carta. L’unico decreto attuativo adottato riguarda la modalità con cui la Piattaforma nazionale delle liste di attesa opera in coerenza con il «Modello Nazionale di Classificazione e Stratificazione della popolazione», ma senza gli altri provvedimenti previsti l’attuazione del DL rimane paralizzata. Dei cinque decreti attuativi rimanenti, tre sono già scaduti (due da quattro mesi e uno da quasi cinque), mentre per gli altri due non è stata fissata alcuna scadenza. Senza questi atti tecnici, le misure previste dal DL Liste di attesa rimangono un lontano miraggio. Dal canto loro le Istituzioni non rendono pubblici i dati aggiornati, affidando la comunicazione ai politici. Al question-time del 5 febbraio, il Ministro per i Rapporti per il Parlamento, Luca Ciriani, ha dichiarato che un decreto attuativo è in fase di completamento, uno di imminente invio all’esame della Conferenza Stato-Regioni e tre già trasmessi. Tuttavia, nella seduta del 13 febbraio non ne risulta calendarizzato nessuno. Ovvero, al di là di “rassicuranti” dichiarazioni politiche, i tempi per una piena attuazione del decreto restano ancora incerti.
Qual è lo stato della sanità in Italia? Come si dovrebbe intervenire, nell’immediato, per garantire il mantenimento di un Servizio Sanitario Nazionale universalistico?
Il Servizio Sanitario Nazionale vive una crisi strutturale, frutto di anni di sottofinanziamento, carenza di personale, frammentazione organizzativa e scarsa programmazione. Il progressivo definanziamento della sanità pubblica è evidente: il Fondo Sanitario Nazionale, in rapporto al PIL, è destinato a scendere sotto il 6% nei prossimi anni, mentre la carenza di personale sanitario continua ad aggravarsi, anche per la disaffezione e la fuga dei professionisti dalla sanità pubblica. Per invertire questa tendenza, serve un piano straordinario di assunzioni, superando i tetti di spesa e garantendo migliori condizioni di lavoro per rimotivare i professionisti a rimanere nel SSN. Questo è ancora più urgente in vista dell’attivazione, prevista per giugno 2026, delle strutture previste dal PNRR per potenziare la medicina territoriale. Senza personale adeguato, Case di comunità, Centrali Operative Territoriali e Ospedali di comunità rischiano di rimanere solo scatole vuote, trasformando un’opportunità di rilancio in un indebitamento delle future generazioni per investimenti strutturali che non miglioreranno l’assistenza sanitaria territoriale.
Sempre più cittadine e cittadini sono costretti a ricorrere a cure private, acuendo le disuguaglianze fra chi può permettersele e chi no. Facciamo il punto della situazione.
L’aumento della spesa sanitaria out-of-pocket, ovvero quella sostenuta direttamente dai cittadini, è uno dei segnali più preoccupanti della crisi del SSN. Nel 2023 ha superato i 40 miliardi di euro, una cifra largamente sottostimata, considerando il numero di persone che limitano le spese per la salute e, soprattutto, rinunciano alle cure. Oltre 4,5 milioni di persone nel 2023 non hanno potuto accedere a visite e prestazioni, di cui 2,5 milioni per motivi economici, segnale inequivocabile che l’accesso alla sanità sta diventando sempre più una questione di reddito: chi può permetterselo paga, chi non può resta intrappolato nelle liste d’attesa o rinuncia alle prestazioni. Se non si interviene subito, il rischio è quello di una sanità a doppio binario, con una parte della popolazione che riceve cure tempestive e un’altra che ne viene esclusa, con buona pace dei princìpi di equità e universalità del SSN: inutile dire che le conseguenze sulla salute pubblica sarebbero drammatiche.
Sempre al di là delle polemiche politiche di questi giorni, ci indichi i punti sui quali è necessario intervenire con maggiore tempestività affinché il sistema non crolli definitivamente.
Ci sono almeno tre urgenze da affrontare con la massima priorità. La prima è il rifinanziamento progressivo del fondo sanitario nazionale, perché senza risorse adeguate nessuna riforma potrà funzionare. La seconda, come già indicato, è un piano straordinario per il personale, con nuove assunzioni e migliori condizioni di lavoro per arginare la fuga di medici e infermieri dal SSN. La terza è di realizzare effettivamente, al di là dei proclami, la riforma dell’assistenza territoriale al fine di garantire servizi sanitari e socio-sanitari accessibili in maniera equa su tutto il territorio nazionale.
Cosa sbaglia la politica nel suo complesso nell’approccio a un tema così delicato, sul quale sarebbe preferibile evitare qualsiasi strumentalizzazione e forma di propaganda?
La politica sbaglia perché tratta la sanità come una questione negoziabile anziché come una priorità strategica per il futuro del Paese. Il dibattito si riduce a proclami trionfalistici sulle risorse stanziate, denunce di tagli e scaricabarile sulle responsabilità sul declino del SSN. Ogni Governo, indipendentemente dal colore politico, tenta di dimostrare di aver investito di più in sanità, ma la realtà è che l’incidenza della spesa sanitaria sul PIL è in costante calo e il personale continua a diminuire. Manca una visione di lungo periodo capace di superare le divisioni ideologiche e gli avvicendamenti di Governo, riconoscendo il SSN come un pilastro della democrazia, uno strumento di coesione sociale e una leva per lo sviluppo economico del Paese. Se non si cambia approccio, la sanità pubblica continuerà ad essere indebolita da una “manutenzione ordinaria” a breve termine e da scelte finanziarie miopi, aggravate dal fatto che la spesa sanitaria è la voce più facilmente sacrificabile nei bilanci pubblici.
Quanto influisce, a suo giudizio, l’evidente criticità del Sistema Sanitario Nazionale nel crescente clima di sfiducia e disaffezione alla cosa pubblica che caratterizza questa fase storica?
Il deterioramento del SSN è uno dei principali fattori che alimentano la sfiducia nelle istituzioni. Quando un cittadino si scontra con liste d’attesa interminabili, pronto soccorso al collasso e difficoltà nel trovare un medico di famiglia, non vede un problema astratto, ma un fallimento concreto dello Stato nel garantirgli un diritto fondamentale. Questo senso di abbandono mina la fiducia nella politica e nelle istituzioni e rafforza il distacco tra cittadini e cosa pubblica. La sanità pubblica è un termometro della democrazia: se funziona, consolida il senso di appartenenza e fiducia nello Stato; se fallisce, alimenta rabbia, diseguaglianze e disillusione. Per questo, rilanciare il SSN non è solo una questione sanitaria o economica, ma un’urgenza sociale che richiede scelte politiche ben precise. Un Paese che non tutela più la salute dei suoi cittadini non è un Paese giusto.
.
Articolo di Roberto Bertoni da
14 Febbraio 2025