DA REDAZIONE
Massimo Nava dalla redazione di REMOCONTRO –
«Niente Europa al tavolo per l’Ucraina», dice l’inviato di Trump alla conferenza di Monaco (Meloni assente). Team americano verso Riad per incontrare i russi, telefonate Rubio-Lavrov. Vertice europeo della disperazione a Parigi: un piano in fretta o decidono altri. «L’ultimo velo di decenza è crollato con la proposta che il presidente Trump ha fatto all’Ucraina. In pratica, mercanteggiare sui morti di ieri e su quelli che ancora cadranno nelle trincee». Massino Nava, firma del Corriere della sera, furioso.
Mercante in fiera, senza pietà e decoro
L’Ucraina è devastata dai bombardamenti. Milioni di ucraini sono all’estero, altri milioni sono sfollati interni. Centinaia di migliaia le vittime civili e militari. Debito pubblico oltre il 130 miliardi di dollari. Per continuare a combattere, il Paese si è indebitato per generazioni e facendo il conto economico del conflitto – 500 miliardi di dollari necessari per la ricostruzione – si è visto costretto a impegnare le proprie risorse agricole e minerarie per pagare armi, ottenere prestiti e invogliare investitori futuri, quanto e se si arriverà alla pace. Un disastro annunciato dall’inizio del conflitto e puntualmente verificatosi, essendo evidente la sproporzione delle forze in campo e l’insufficienza degli aiuti degli alleati occidentali.
Sostegno a pagamento
Da parte degli Stati Uniti, il sostegno è ormai condizionato dalla strategia di Trump di arrivare alla pace a qualsiasi costo, che – per l’Ucraina – potrebbe significare amputazione del 20 per cento del territorio occupato dai russi e in parte già avviato alla ricostruzione con capitali e imprese di Mosca. Da parte europea, il sostegno è invece condizionato dalle incertezze politiche, dalla crescita delle estreme destre e da un’opinione pubblica stanca di guerra.
Usa e Nato mercenari
La proposta di Trump giunge nel momento stesso in cui il governo americano ha bloccato gli aiuti allo sviluppo in tutto il mondo e lascia il governo ucraino alle prese con la ricerca di finanziamenti alternativi per programmi critici, tra cui il sostegno alla rete energetica e ai veterani di guerra. Trump ha da tempo espresso la sua riluttanza a continuare a inviare miliardi di dollari in armi e altre attrezzature alla nazione assediata, sostenendo che ciò costa troppo agli Stati Uniti. La strategia che sta adottando in tutto il mondo vale anche per l’Ucraina.
Offerte mercatili di Zelensky
Del resto, come ricorda il New York Times, era stato lo stesso Zelensky ha offrire queste opportunità economiche, prima alla presidenza Biden e ora alla presidenza Trump, dichiarando che «aiutare l’Ucraina a difendersi è nell’interesse economico dell’America, poiché l’Ucraina è ricca di minerali critici che potrebbero dare impulso alle industrie americane». In risposta alla dichiarazione di Trump, un alto funzionario ucraino ha dichiarato che «l’Ucraina è pronta a lavorare con gli Stati Uniti su accordi per minerali di terre rare, a condizione che gli Stati Uniti offrano sufficienti garanzie di sicurezza per evitare che queste risorse cadano nelle mani della Russia».
“Bottino di guerra”
Quello che sarà dunque, come in ogni conflitto, il bottino di guerra è stimato in trilioni di dollari, anche se le stime sui giacimenti e sulle riserve di materiali rari critici sono ancora da valutare, essendo finiti in parte sotto controllo della Russia. Le forze russe sono vicine a un’importante riserva di litio nella regione sud-orientale ucraina di Donetsk. Ma la strategia dell’Ucraina non si è fermata per questo. Prima di Natale, delegati ucraini hanno incontrato imprenditori americani a Washington per discutere appunto licenze di produzione ed estrazione di materiali critici. La presentazione dell’incontro è stata visionata dal New York Times.
Colossi agroalimentari Usa
Il capitolo delle terre rare è peraltro solo una parte prelibata del bottino di guerra. Già nei mesi scorsi, il presidente Zelensky aveva negoziato l’assistenza alla ricostruzione e alla privatizzazione di settori pubblici dell’Ucraina con i colossi della finanza americana BlackRock (la più grande società di investimenti al mondo) e JP Morgan (la prima banca mondiale). A questi accordi, si aggiungono quelli già sottoscritti prima del conflitto con i colossi dell’agroalimentare Monsanto, Cargill e Du Pont. In pratica, il granaio del mondo.
Ucraina al “Monte dei pegni”
È del tutto evidente l’impossibilità dell’Ucraina a far fronte ai propri debiti e all’urgenza di capitali freschi per la ricostruzione. L’unica soluzione, come avviene per qualsiasi famiglia in difficoltà, è vendere o impegnare il proprio patrimonio. Per l’Ucraina, oltre alle miniere e al settore agricolo, si tratta di asset demaniali, servizi, proprietà pubbliche immobiliari. Quanto alla solidarietà in nome dei valori occidentali, ne parleranno i libri di storia.
Solidarietà a tassametro
Al recente forum internazionale di Davos, il presidente ucraino ha incontrato i più grandi tycoon della finanza americana. Grandi sorrisi e strette di mano, in attesa di perfezionare accordi che andrebbero a integrare aiuti internazionale di fonte pubblica. Come ha riferito il Kiev Indipendent, Zelensky è arrivato in Svizzera, per convincere i leader mondiali della necessità di continuare a sostenere Kiev, dal momento che oltre 100 miliardi di dollari di fondi dell’UE e degli Stati Uniti rimangono bloccati dalle controversie politiche interne.
Ucraina al miglior offerente
Tra gli amministratori delegati dei giganti della finanza mondiale che hanno partecipato all’incontro c’erano Jamie Dimon di JP Morgan Chase & Co, il vicepresidente di BlackRock Philipp Hildebrand e l’amministratore delegato di Blackstone Group Stephen Schwarzman. Erano presenti anche Lakshmi Mittal, presidente di Arcelor Mittal, produttore di acciaio che è uno dei maggiori investitori internazionali in Ucraina, il co-fondatore di Carlyle Group Inc. David Rubenstein, la rappresentante speciale degli Stati Uniti per la ripresa economica dell’Ucraina Penny Pritzker e altri.
In trincea sanno ciò che accade?
Zelensky ha sottolineato l’importanza di attrarre capitali privati per i progetti di ricostruzione in Ucraina, si legge sul sito dell’Ufficio presidenziale. In particolare, ha insistito sulla necessità di un finanziamento misto attraverso capitali privati e statali durante la guerra. Zelensky ha inoltre parlato del potenziale e delle prospettive della produzione militare in Ucraina e l’importanza della cooperazione con le principali aziende di difesa occidentali.
Due pessimi vincitori in ipocrisia
Se non sembrasse fantascienza, Joe Biden e Donald Trump dovrebbero ottenere ex equo la palma dei veri vincitori della guerra in Ucraina. Non certo la povera Ucraina, di cui si è detto. Non certo la Russia, dissanguata dalle sanzioni e dai costi della spedizione militare, anche se si siederà al tavolo delle trattative da posizione di forza. Non certo l’Europa, colpita dalla lievitazione dei costi dell’energia, amputata del mercato russo, invasa da profughi ucraini, costretta ad aumentare le spese militari e a supportare in un lungo futuro le conseguenze del conflitto sul piano sociale ed umanitario. Con l’inizio della guerra, gli Stati Uniti hanno fatto cassa piena con l’esportazione di armi, gas liquefatto e petrolio. Con l’avvicinarsi della fine del conflitto, fanno cassa piena mettendo le mani sulla ricostruzione, sugli asset industriali, sulle materie prime del Paese che doveva essere protetto dall’invasore russo.
Tragedia prevista, narratori venduti
La tragedia dell’Ucraina era stata abbondantemente prevista da molti osservatori e persino da autorevoli osservatori e diplomatici americani. La crisi ucraina è lo sbocco dell’aggressione politica e poi militare messa in atto dalla Russia. Questa è la narrazione prevalente che ha convinto Stati Uniti ed Europa a offrire un sostegno incondizionato all’Ucraina. Ma la narrazione prevalente non dovrebbe escludere un’osservazione più esaustiva delle concause della guerra, a partire da fatti che hanno segnato la storia dell’Europa e della Russia dopo la caduta del Muro di Berlino.
Falsi la storia ma non la geografia
L’Ucraina, sovrana e indipendente, avrebbe avuto molto più da guadagnare da una progressiva integrazione nell’Unione Europea, pur mantenendo – al pari dell’Austria, ad esempio – una condizione di neutralità e di buon vicinato con la Russia. Si può cambiare la storia, ma è complicato cambiare la geografia. E l’Ucraina è, da secoli, terra di mezzo fra due mondi: un’enorme distesa di terra piatta che la Francia napoleonica e la Germania nazista hanno attraversato per colpire la Russia. Il triplice pacchetto di politiche dell’Occidente – l’allargamento della Nato, l’espansione dell’Ue e la promozione della democrazia con milioni di dollari alle ong – ha contribuito all’incendio.
Allargamento della Nato, provocazione voluta
“Il diplomatico statunitense George Kennan, ex ambasciatore a Mosca, già in un’intervista del 1997 disse: «Penso che i russi reagiranno gradualmente in modo piuttosto negativo e questo influenzerà le loro politiche. Penso che sia un tragico errore (l’allargamento della Nato, ndr). Non c’era alcun motivo per farlo. Nessuno stava minacciando nessun altro». Una simile decisione «potrebbe infiammare le tendenze nazionaliste, antioccidentali e militariste nell’opinione pubblica russa, avere un effetto avverso sullo sviluppo della democrazia russa, ripristinare l’atmosfera della Guerra Fredda nelle relazioni Est-Ovest». Parole al vento.”
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Articolo di Massimo Nava dalla redazione di
17 Febbraio 2025