DA REDAZIONE
Valerio Sale da REMOCONTRO –
C’è una crepa nella corazza di Donald Trump. Un segno evidente di cui si discute ancora poco. E’ il mastodontico deficit pubblico che costringe ogni anno il Tesoro Usa a cercare compratori di titoli di Stato per quasi 2.000 miliardi. Nel 2024 per i suoi 36.000 miliardi di debito, gli Usa hanno pagato oltre 1000 miliardi di interessi, una cifra superiore alla spesa militare.
Dove sta la crepa?
La principale promessa elettorale di taglio delle tasse per le aziende e le grandi ricchezze private. Nel primo mandato Trump era stato dal 35% al 21% e adesso si dovrà arrivare al 15%. Ma la grande riduzione fiscale ha un costo extra di 5.000 miliardi di dollari di debito. Extra perché si aggiungeranno ai 2.000 di aumento già previsti. Quindi, il Tesoro Usa dovrà piazzare sul mercato titoli di Stato corrispondenti alla cifra prevista e, soprattutto, dovrà farlo a tassi sostenibili. Se l’operazione non riuscisse, il peso del debito pubblico potrebbe aprire la crepa fino a farla diventare un falla.
5mila miliardi di dollari che mancano
A come trovare quei 5.000 miliardi di dollari ci ha pensato Stephen Miran, economista e uno degli uomini più vicini al presidente e tra i più influenti nella strategia dei dazi. Miran è il capo di Hudson Bay Capital, società d’investimenti ‘multi-strategia’, come si definisce nel proprio sito. Lo scorso novembre, in occasione dell’elezione di Trump, ha pubblicato un documento di 41 pagine dal titolo: «Guida alla Ristrutturazione del Sistema Commerciale Globale”». Vi sono indicati tre obiettivi: trovare i finanziatori per i cinquemila miliardi di dollari nei prossimi dieci anni; svalutare il dollaro in modo che l’America riesca a vendere più merci al resto del mondo, comprandone meno da esso; mantenere contenuti i rendimenti sul debito e dunque tassi d’interesse di mercato americani, preservando lo status del dollaro quale moneta di riserva dominante del mondo.
Far comprare ad Europa e Cina il debito Usa
Miran spiega l’insistenza sull’obbligo fatto all’Europa o alla Cina di comprare titoli Usa a lungo termine, «spostando il rischio del debito Usa dal contribuente americano ai contribuenti stranieri», con l’intenzione di tenere bassi i tassi di mercato in America. E aggiunge: «Come possono gli Stati Uniti far sì che i loro partner accettino un tale accordo? Primo, c’è il bastone dei dazi. Secondo, c’è la carota dell’ombrello di difesa e il rischio di perderlo». Agitare la minaccia di dazi punitivi è un sistema diretto ad obbligare altri Paesi a comprare e detenere più titoli di Stato americani (oppure più armi, come ha proposto Ursula Von der Leyen); in questo modo gli Stati Uniti potrebbero finanziare il loro crescente deficit pubblico, tenendo sotto controllo i tassi d’interesse sul debito.
Bastone dazi, carota ombrello difesa
In sostanza, Trump sta cercando di mettere l’Europa davanti all’alternativa: comprare più debito americano mano che viene emesso – e comprarlo a tassi bassi – oppure rischiare di perdere l’accesso al mercato dei consumatori americani e a quel che resta dell’ombrello di sicurezza del Pentagono. Un osservatore economico attento come Federico Fubini, che ha analizzato nel dettaglio il piano Mirian, lo ha definito «il disegno di un ricatto». Infatti, l’obiettivo è una parziale confisca delle riserve dell’Europa, in modo da far pagare a noi una quota del debito americano tramite una svalutazione del dollaro e tramite rendimenti insufficienti sui titoli del Tesoro Usa.
Il “tecno-capitalismo” di Trump
Ricordiamo che l’impianto tecno-capitalista su cui poggia la presidenza Trump prevede già una tassazione quasi nulla sui redditi personali dei big della tecnologia e assai ridotta sulle loro aziende. Non bisogna però dimenticarsi dell’altra metà di Wall Street, famelica anch’essa di riduzioni fiscali, ma con tradizioni imprenditoriali (e repubblicane) che non è detto corrispondano alle visioni degli oligopolisti-soci di Trump.
“I grandi investitori sono già preoccupati per l’incertezza provocata dalle minacce sui dazi e, come ha rilevato Bloomberg sulla base dei dati di febbraio, si aspettano prezzi in aumento a un tasso annuo del 3,5% nei prossimi 5-10 anni, il tasso più alto dal 1995. Resta quindi da vedere se le truppe di Trump conquisteranno anche la Fed, che esita a tagliare i tassi, e se la corazza di Trump reggerà all’urto dell’inflazione.”
“L’effetto Trump spinge il mercato dell’oro, bene rifugio che non passa mai di moda. Effetto fiducia o diffidenza? Politiche fiscali per drenare denaro dal resto del mondo e questo sta causando una fuga di lingotti in campo occidentale. Il braccio di ferro con cui gli Usa stanno ridefinendo in senso unilaterale le regole commerciali e finanziarie ed applicando lo strapotere del dollaro per fini geopolitici sta spingendo i Paesi non occidentali, principalmente i Brics, e scegliere l’oro.”