Cisgiordania dopo Gaza: pulizia etnica e “Grande Israele”

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Piero Orteca da REMOCONTRO –

Dopo Gaza la Cisgiordania palestinese rubata. I tank dentro Jenin. 120 case distrutte dalle ruspe di Israele. Oltre 40 mila gli sfollati nel nord della Cisgiordania. L’Unicef condanna l’uccisione di 17 minori palestinesi nel 2025. Intanto i coloni israeliani mossi col supporto governativo avranno presto altri 1.170 alloggi negli insediamenti illegali. Pulizia etnica e ‘Grande Israele’. Espandersi, annettersi nuove terre, colonizzare.

Dopo Gaza la Cisgiordania palestinese rubata

Andiamo verso il sogno biblico di un Grande Israele? Se la storia va tenuto d’occhio, allora la cronaca di questi giorni comincia a confermare più di un sospetto. Netanyahu è riuscito a congelare la situazione di Gaza, nell’attesa di una resa dei conti finale, ringalluzzito dal plateale ‘endorsement’ di Trump. Ora, quindi, può dedicarsi ad altri fronti che gli stanno altrettanto (se non di più) a cuore, a cominciare dalla Cisgiordania. L’equazione è semplice: mentre gli occhi del mondo sono concentrati sulla Striscia, i bellicosi coloni israeliani, spalleggiati dal loro esercito, stanno mettendo a ferro e fuoco i Territori occupati. Secondo lo scaltro premier dello Stato ebraico, è proprio quello ‘il lato debole della difesa’. Cioè, l’area in cui si possono bellamente ignorare tutte le regole più elementari del diritto internazionale, pur di raggiungere il proprio scopo. Che è quello di arrivare a cacciare i palestinesi o, quantomeno, di rendere l’area così irrespirabile da obbligarli a un ‘trasferimento volontario’.

“L’interesse nazionale” sulla pelle di tutti

Una contorsione concettuale, riveduta e corretta da uno Stato che si proclama democratico, attuata nella più cinica dimostrazione di cosa voglia dire ‘interesse nazionale’. Un’idea che se viene associata a quella del «diritto alla sicurezza» (senza limiti) diventa un passepartout per giustificare qualsiasi nefandezza. Detto fatto. Ieri il britannico Guardian ha dato grande spazio a una notizia che, a prima vista, avrebbe anche potuto sembrare di routine. E cioè, i carri armati con la stella di David si sono riversati su Jenin e non per un’operazione ‘mordi e fuggi’, ma per restarci. Secondo le autorità municipali dell’ANP (Jenin, in teoria, è territorio palestinese) i soldati israeliani hanno demolito almeno 120 case. Sono anche entrati nel campo profughi, che si trova accanto alla città e dove sono ospitati almeno 10 mila rifugiati. Il campo, nel 2002, fu teatro di furiosi combattimenti, con numerosi caduti. Da allora, i carri armati a Jenin non si erano più visti, mentre adesso, a quanto pare, sono tornati per restarci.

Carri armati a Jenin per restarci

Come scrive il Guardian, citando il Ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, «l’ultima operazione in Cisgiordania si sta espandendo. Le truppe rimarranno nei punti caldi urbani della zona per il prossimo anno, il che significa che circa 40 mila persone, sfollate a causa dei combattimenti, non potranno tornare alle loro case». Le Forze di difesa israeliane, memori di quanto accaduto nel corso della seconda intifada, in questi giorni hanno preso di mira proprio gli accampamenti palestinesi, uccidendo più di 50 persone e distruggendo strade e infrastrutture. L’escalation della tensione ha avuto un’accelerata la scorsa settimana, quando si sono verificati alcuni attentati-bomba (senza vittime) sugli autobus di Tel Aviv. La brigata al-Qassam, di Tulkarem, in Cisgiordania, ha elogiato gli attacchi terroristici, ma senza arrivare a rivendicarli. È bastato solo un post su Telegram, però, per scatenare la pesante rappresaglia dell’IDF.

Espandersi, annettersi nuove terre, colonizzare

Una strategia maggiormente articolata e più di lungo periodo: ‘espandersi, annettersi nuove terre, colonizzare’. Lo sottolinea anche Haaretz, il quotidiano liberal di Tel Aviv: «Nel frattempo, sia il governo che l’esercito – sostiene il giornale – stanno rilasciando dichiarazioni aggressive sulla Cisgiordania, da cui apparentemente provenivano le persone che hanno piazzato le bombe sugli autobus. Due giorni dopo la breve visita di Netanyahu a Tulkarem, il Ministro della Difesa Katz ha rilasciato una dichiarazione in cui si vantava che 40 mila palestinesi sono stati finora evacuati dai campi profughi nella Cisgiordania settentrionale. E che inoltre aveva ordinato all’IDF di prepararsi a una permanenza prolungata in quei campi, per non consentire ai residenti di tornare e al terrorismo di riprendere a prosperare».

L’inascoltato allarme Onu da Gaza e oltre

Che la situazione stia prendendo una brutta piega in Cisgiordania è anche testimoniato dalla presa di posizione di Antonio Gutérres, il Segretario generale delle Nazioni Unite. Intervenendo ai lavori del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, svoltisi a Ginevra, Gutérres non ha potuto fare a meno di sottolineare i «livelli intollerabili» di morti palestinesi a Gaza. «Sono profondamente preoccupato per la crescente violenza nella Cisgiordania occupata da parte dei coloni israeliani –- ha detto – e per altre violazioni, nonché per le richieste di annessione». Ma, come dicevamo all’inizio, la partita mediorientale si gioca su più tavoli, che Netanyahu tiene d’occhio. «Sembra determinato – valuta Haaretz – a rimettere a fuoco il maggior numero possibile di fronti».

Padroni del Medio Oriente

“Così, domenica, ha annunciato che «Israele non avrebbe permesso al nuovo esercito siriano di entrare nella regione a sud di Damasco e avrebbe chiesto la completa smilitarizzazione delle forze militari nell’area». Un altro segnale, a metà tra avviso e minaccia, è stato lanciato al Libano. I jet da combattimento israeliani hanno sorvolato continuamente Beirut, durante i funerali dell’ex leader di Hezbollah, lo sceicco Nasrallah. E allora c’è da aspettarsi di tutto: con un guardaspalle come Trump, Netanyahu potrebbe essere tentato di osare l’inosabile, pur di realizzare qualcuno dei suoi segreti sogni di gloria.”

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Articolo di Piero Orteca dalla redazione di

25 Febbraio 2025