Trump a colpi di dazi contro tutti ma rischia l’America

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Trump ‘fuori tutto’ nel discorso sullo stato dell’Unione: «Abbiamo realizzato più in 43 giorni di quanto la maggior parte delle amministrazioni realizzi in 4 o 8 anni, e abbiamo appena iniziato». I Dem interrompono il presidente e vengono espulsi. «Nelle ultime 6 settimane ho firmato quasi 100 ordini esecutivi e ho intrapreso più di 400 azioni esecutive per ripristinare il buon senso, la sicurezza, l’ottimismo e la ricchezza in tutta la nostra meravigliosa terra». E ringrazia Musk, tra i fischi.

Trump contro il mondo il guaio d’America

Si mette male, molto più velocemente del previsto. Il ciclone Trump ha aperto un fronte di guerra devastante, che non è in Ucraina e nemmeno in Medio Oriente. Anzi, si tratta di un campo di battaglia dove generali e soldati si muovono in doppio petto, svelti, trascinandosi appresso ‘ventiquattrore’ con supercocomputerino d’ordinanza pronto a essere ‘sguainato’. Stiamo parlando di Borse, banche, mercati di ‘commodities’ (cereali, caffè, grassi vegetali), scambi tra produttori di materie prime e semilavorati ad alto valore aggiunto, sbalzi nei costi dell’energia: insomma, tutto quello che è necessario per fare andare avanti la macchina del mondo.

Dazi per tutti, Borse a picco e l’inflazione ringrazia

A partire da ieri, sono diventati operativi i dazi doganali del 25% sulle importazioni in arrivo negli Stati Uniti, da Messico e Canada. Stessa cosa per i prodotti che entrano dalla Cina, dove però l’aumento (per ora) “si limita” a un 10 + 10, cioè a un 20% totale, perché la tariffa iniziale è stata raddoppiata nelle ultime ore. Risultato? Il Wall Street Journal apre la sua edizione on line parlando di guerre commerciali, rappresaglie doganali e crisi delle Borse. E cita il crollo di 700 punti dell’indice Dow Jones. Ma, soprattutto, ha messo in guardia dall’inasprirsi del confronto con la Cina. Pechino reagirà «con reciprocità», tassando circa il 25% del totale delle importazioni americane, con un’aliquota che però non dovrebbe superare il 15%. In ogni caso, a essere penalizzati saranno settori come l’agricoltura Usa o quelli tecnologici di fascia bassa. Diverso il discorso per Trump.

Ma i dazi ricadono sui consumatori Usa

Nel suo report, il Wall Street Journal scrive: «Gli economisti affermano che gli importatori e le aziende americane probabilmente trasferiranno il costo dei dazi sui consumatori, il che significa che i privati ​​cittadini potrebbero vedere prezzi più alti nei supermercati e nelle concessionarie di automobili». E quest’analisi conferma quanto si era già detto nei giorni scorsi, a proposito del clamoroso calo nei sondaggi del suo ‘job approval’, cioè il consenso per quanto riguarda l’economia (e, in particolare, la lotta all’inflazione) nonostante le sue sfacciate vanterie e menzogne Il problema vero, che ci riguarda, è che la ripresa di una spirale inflazionistica in America potrebbe trasferirsi velocemente oltre Atlantico, innestando una seconda ‘tempesta perfetta’, capace di rimettere in ginocchio l’Europa. Il Vecchio continente è ancora spossato dalla pandemia, dall’alterazione degli approvvigionamenti e, soprattutto, dalla guerra in Ucraina. Macroscopici errori di gestione, hanno poi portato l’Unione a vivere una fase di crisi strutturale. Spende troppo e a vanvera, non riuscendo spesso a interpretare i bisogni della gente, dando così spazio ai populismi di qualsiasi specie che dilagano. Ora che Trump la vorrebbe lasciare col cerino in mano, dalle parti del Donbass, la UE addirittura si vuole sostituire all’America, stanziando 800 miliardi di euro per la Difesa.

I capricci della storia e il mondo sottosopra

Nel caso specifico, dopo essere diventata, sotto la spinta di Biden, «l’avversario strategico» dell’Europa, la Cina oggi ne potrebbe diventare l’occasionale alleato, per arginare i furori protezionistici di Donald Trump. In quello che fa il Presidente americano, non c’è niente di ideologico, ma è tutto basato sul più puro tornaconto. O «realpolitik, se vogliamo darle una mano di vernice. Con queste premesse, la collaborazione tra Pechino e Bruxelles non è solo possibile, ma è anche auspicabile. In fondo, la globalizzazione e il libero commercio non sono opzioni, ma strade obbligate in un pianeta che abbia voglia di crescere rispettando equilibri e diversità. Certo, lascia perplessi l’incapacità degli europei di pensare con la loro testa, quando si tratta di imbastire relazioni internazionali di lungo periodo.

Europa di tanti e piccoli frammenti

A guardare indietro, tutta la recente storia dei rapporti commerciali con la Cina è stata condizionata da un approccio individuale, non di ‘blocco’. Dove il singolo Stato (a cominciare per esempio dalla Germania), si è preoccupato innanzitutto di curare i suoi interessi, intavolando trattative bilaterali. L’Amministrazione Biden ha fatto il resto, dando un giro di vite a molti scambi, ossessionata com’era dal timore che gli Stati Uniti potessero essere scavalcati da Pechino nel delicato settore delle tecnologie più sofisticate. E oggi la storia si ripete, se è vero che Trump ha allo studio ulteriori restrizioni alle esportazioni dei supermicrochip di ‘Nvidia’, destinati all’«industria 4.0 cinese». Non solo, ma ciò che colpisce particolarmente è la tempistica, che caratterizza l’accanimento della Casa Bianca contro il colosso asiatico. Si svolgono, infatti, in questi giorni, le cosiddette “due sessioni” (parlamentari): quella della Conferenza consultiva politica del popolo cinese, e l’altra, che rappresenta l’Assemblea legislativa del Paese. Dovranno discutere sui risultati del 14º piano quinquennale e valutare il successo del progetto «Made in China 2025».

Cina bersaglio reso più pericoloso

Ma, soprattutto, dovranno elaborare le nuove linee di politica economica. E qui, il furore protezionistico del Presidente americano, arriva come il classico fiammifero in un deposito di benzina. Perché, proprio la ‘guerra tecnologico’ accentuata da Trump, spingerà i cinesi a cambiare l’obiettivo del prossimo piano quinquennale. Non più un aumento del Pil, costi quel che costi, ma progressi significativi nella ricerca scientifica applicata alla produzione ad alto valore aggiunto.

“Ha scritto ieri il South China Morning Post di Hong Kong: «Secondo un rapporto pubblicato dall’Information Technology and Innovation Foundation, un think tank di Washington, anni di sforzi sembrano aver dato i loro frutti, con la Cina leader o competitiva a livello mondiale in cinque settori ad alta tecnologia. Parliamo di robotica, energia nucleare, veicoli elettrici, intelligenza artificiale e informatica quantistica. Ha inoltre affermato che il Paese sta recuperando terreno in altri quattro settori. Quello dei prodotti chimici, delle macchine utensili, dei prodotti biofarmaceutici e dei semiconduttori».”

Insomma, tutti già pensano che i dazi di Trump alla Cina, forse faranno la fine delle sanzioni economiche di Biden alla Russia.

.

Articolo di Piero Orteca dalla redazione di

5 Marzo 2025