Financial Times: più armi, più tasse e meno pensione

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

«L’Europa deve ridurre il suo stato sociale -avverte il Financial Times di ieri- se vuole costruire uno stato di guerra». Le ponderose analisi, i sofferti ripensamenti geopolitici che arrivano da Bruxelles in questi giorni, contro una temuta invasione russa, mettono definitivamente a soqquadro l’Unione. Inseguendo le napoleoniche paturnie di Macron che offre il suo arsenale nucleare come scudo l’Europa contro le brame di Putin, avido di sangue e di territori.

Un virus di follia collettiva?

Parigi pronta a rischiare di essere vaporizzata pur di difendere la democrazia di Tallin? Questo non è ragionare da statisti. Allora dobbiamo rassegnarci a considerare l’Europa un vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. Diciamo che finora a Bruxelles ci hanno marciato. D’altro canto, i ‘professori’ che vaticinano una difesa europea da realizzare istantaneamente, come si fa con certi liofilizzati, sono un po’ distratti. Si dimenticano, per esempio, che esiste già un’organizzazione difensiva che ingloba la maggior parte dei Paesi del Continente, cioè la Nato. Un’alleanza, detto per inciso (e per chi ha letto statuto e scartoffie) dove tutto gira intorno a Washington. Nel bene e nel male. Quindi si tratterebbe di raddoppiare i costi e, probabilmente, dimezzare l’efficienza. Anche perché, senza il coordinamento Usa, nell’esercito europeo ci sarebbero troppi galli nello stesso pollaio. Basti ricordare al Presidente Macron, che adesso si agita per marciare di nuovo verso la Beresina, che storicamente è sempre stato il suo Paese a mettersi di traverso con una ‘Difesa europea’.

Garanzia atomiche di Francia e Gran Bretagna?

Non parliamo poi delle «garanzie atomiche di deterrenza», che potrebbero offrire agli alleati Francia e Regno Unito. Nessun diplomatico degno di questo nome firmerebbe una simile carta straccia. Semplicemente, perché né Londra e né Parigi rischierebbero mai una guerra nucleare per difendere un piccolo alleato. Cioè, per capirci, è solo la presenza dell’arsenale atomico degli Stati Uniti (e della sua ampia articolazione in first e second strike) che rende possibile l’applicazione della clausola di intervento prevista dall’articolo 5 della Nato. La migliore garanzia per tutti i soci. Una clausola del genere, in un trattato di difesa europeo, senza gli Stati Uniti, non sarebbe nemmeno immaginabile. Da questo punto di vista, l’unico scudo credibile è e resta la Nato e Macron fa solo il telepredicatore un po’ mitomane. Questo in teoria. Ma poi, in pratica, qualcuno crede seriamente che Putin, incapace di oltrepassare da oltre due anni il Dniepr per andare oltre il Donbass, sia in grado di minacciare l’Europa?

Minaccia russa reale?

Per chi non fa il piazzista di cannoni o per chi non è un politicante guerrafondaio, la risposta è senz’altro «no». C’è un dato di fatto, però. In Occidente stiamo assistendo a una deriva pericolosa, con la cultura diplomatica sempre più messa da parte da una ibrida alleanza di capitalismo speculativo, grandi banche, industria per la difesa ad alto valore aggiunto ed elites politiche che sfruttano le guerre come ‘utili emergenze’. Crisi di sistema che servono anche a perpetuare il loro potere, perché offrono gli alibi adatti a giustificare i fallimenti nella governance. E qui arriviamo al redde rationem, che tocca tutti e che ci costringerà a fare delle scelte politiche precise.

I costi sociali del riarmo

«L’Europa deve ridurre il suo stato sociale – avverte il Financial Times di ieri – se vuole costruire uno stato di guerra. Non c’è modo di difendere il continente, senza tagliare la spesa per i servizi». La foia, anzi, la nevrosi ossessiva che pervade una sfilza di leader occidentali, sembra fatta apposta per affossare le aspettative e le speranze dei loro popoli e  per incoraggiare, al contrario, gli appetiti dei fabbricanti di armi. Di coloro cioè che, dall’invasione dell’Ucraina in poi, grazie a una guerra tenuta ostinatamente in piedi, vanno accumulando trilioni di dollari di profitti. Tutto questo, mentre nel Donbass si muore tutti i giorni e nel resto del pianeta, i contraccolpi finanziari ed economici del conflitto mettono in ginocchio i Paesi più deboli. Adesso che l’ingombrante e imprevedibile Trump ha fatto un giro di valzer sull’Ucraina (peraltro largamente annunciato in tempi non sospetti), l’Europa si scopre nuda, dopo essersi rifugiata per settant’anni dietro le spalle del suo grande e grosso ‘patron americano. Un ‘defilamento’ che non è stata solo vigliaccheria, ma anche soprattutto convenienza, perché le ha consentito di risparmiare somme enormi sui bilanci della difesa.

Minaccia reale sulla vita comune

Come scrive Janan Ganesh, sul Financial Times, «i governi dovranno essere più avari con gli anziani», con un chiaro riferimento al peso dei trattamenti pensionistici. E naturalmente con i soldi presi in questo modo, saranno finanziate le armate pronte a contrastare un nemico molto immaginario (pronto a sbarcare in Inghilterra?). «In ogni caso, lo stato sociale come lo abbiamo conosciuto – aggiunge Ganesh – deve fare un passo indietro: non abbastanza da non chiamarlo più con quel nome, ma abbastanza da far male. Non è mai stato progettato per un mondo in cui vivere fino a 100 anni è banale. Non è mai stato pensato per consentire cose come l’attuale legge britannica sui sussidi per i disoccupati. L’ aumento della spesa sociale nell’ultimo secolo è stato stranamente globale, comprendendo Giappone, Stati Uniti, Australia, Canada, ma i livelli assoluti sono più alti in Europa. Essendo il più esposto militarmente di quei luoghi, questo non è sostenibile». Cioè, preparatevi a stringere la cinghia, perché Putin sta arrivando (per chi ci crede). Il concetto sviluppato da Trump, invece, è che la sicurezza costa e va condivisa. Un messaggio rozzo e un po’ brutale che lui traduce così: «Non volete pagare? Allora comando io». Gli alleati, secondo il tycoon, non possono pensare di avere la sicurezza garantita (gratis) dagli americani e poi fare di testa loro

I conti dell’Ucraina che ci aspettano

Ma quello che ancora non hanno capito i popoli europei, è che il costo dell’Ucraina sarà esponenziale. Trump non ne fa una questione di valori, ma di dollari. E vuole mollare la patata bollente di Kiev all’Europa, guardando alla ricostruzione che costerà più della guerra stessa. E intanto, a leggere i giornali specializzati, vengono i brividi. L’Economist parla di portare la spesa per la difesa europea da una media del 1,8% fino a un astronomico 5% del Pil. Incredibile. E aggiunge che devono essere utilizzati tutti i mezzi possibili, cioè aumenti di tasse e tagli di bilancio. Che poi significano tagli allo stato sociale.

“All’impazzimento generale, naturalmente, non si poteva non unire la Wehrmacht, di una Germania dalle grandi tradizioni belliche. Un Paese che ha sempre invaso e depredato i suoi vicini orientali e che ora, invece, stanzia i primi 100 miliardi di euro per riarmarsi fino ai denti, temendo di essere attaccato. O forse si vuole difendere dai nordcoreani. Il Cancelliere in pectore, Friedrich Merz, per finanziare le nuove e potenti panzerdivisionen del Quarto Reich, farà una montagna di debiti. Gli consiglieremmo, prima di comprare molti fiammanti carri armati, di rinnovare anche qualcuno dei suoi scassatissimi treni.”

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Articolo di Piero Orteca dalla redazione di

6 Marzo 2025