“Trump economy” perdente contro il capitalismo di Stato cinese

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

Dalla redazione di REMOCONTRO –

Vizio dazi. Trump annuncia il 25% dei dazi sulle auto importate negli Usa. «È l’inizio della liberazione dell’America» ha detto il presidente, ma la Borsa lo boccia. Così il Wall Street Journal dipinge la parabola dell’economia americana sotto la Presidenza Trump, in soli 60 giorni. Dalla promessa che ‘L’età dell’oro dell’America è ufficialmente iniziata’. Il boom del primo mese di promesse ma quando il mercato verifica i fatti, quei guadagni si sono sgretolati, assieme alla fiducia dei consumatori.

Quando la favola finisce

Wall Street Journal severo: «Ad un mese che era in carica vantava: ‘Il Nasdaq è salito di quasi il 10%, Il Dow Jones Industrial Average è salito di 2.200 punti, l’S&P 500 ha raggiunto il massimo storico’. Ma quando Trump ha scatenato una battaglia tariffaria con i maggiori partner commerciali americani – aggiunge amaro il WSJ – quei guadagni si sono sgretolati. In poche settimane, l’S&P ha perso 4 trilioni di dollari di valore, guidato dalla sua politica commerciale a scatti, dal calo dell’ottimismo sul boom dell’intelligenza artificiale e dal deterioramento dei sentimenti dei consumatori, causato dalle minacce di prezzi più alti e crescita più debole. La fiducia dei consumatori è scesa a marzo per il 4º mese consecutivo al livello più basso da gennaio 2021». È un vero bollettino di guerra, che però va spiegato, perché in effetti Joe Biden non aveva lasciato una situazione economica così malandata. Anzi.

Debito pubblico e bilancia commerciale

I fondamentali dell’economia americana sono tutto sommato buoni, a parte il debito pubblico astronomico e una bilancia commerciale in profondo rosso. E allora? Probabilmente il discorso non è solo di tipo strettamente finanziario o legato allo sviluppo. Ma coinvolge soprattutto (e strettamente), la politica. Non è pazzo né ‘gambler’, cioè un giocatore d’azzardo, che rischia di mettere sottosopra le politiche economiche della più grande potenza planetaria, solo per le sue ricorrenti paturnie. O, forse, sarebbe meglio definirle nevrosi ossessive. No, non giudicate una ‘sparata’ quello che stiamo scrivendo: Donald Trump fa tutto ciò perché è già in campagna elettorale. Questa volta (dice lui) non si farà prendere in castagna dai risultati delle elezioni di ‘Mid term’, tra poco più di un anno e mezzo. Sa benissimo che dal ferreo controllo del Congresso dipende la sopravvivenza della rivoluzione «Maga», il nuovo modello del «pensiero unico americano, da lui proposto e tanto decantato.

Nevrosi ossessive

Ha vinto cavalcando principalmente tre emergenze: l’inflazione (almeno quella realmente percepita), lo sconquasso dell’industria manifatturiera (causato, in parte, dalle esagerazioni della svolta ‘green’) e la microcriminalità, attribuita da molti elettori, giusto o sbagliato che fosse, anche alla fiumana di ‘immigrati non regolari’. Una massa imponente di persone che gli Stati Uniti faticano a ‘includere’ nel loro tessuto sociale. Ma adesso, i calcoli cibernetici dei suoi advisor, stanno guidando il nuovo inquilino dello Studio ovale su una china pericolosa.

“Dalla guerra dei dazi e delle tariffe pensano che possa emergere un’America vittoriosa, una Cina ridotta a più miti pretese, una Russia amica-nemica e comunque partner di convenienza e un’Europa sempre più serva. Come lo è stata finora.”

Peronismo in salsa trumpiana

In tutti questi calcoli a tavolino, naturalmente hanno una priorità (non dichiarata) le elezioni di Mid term. Con un programma economico ‘nazional-populista’, che sembra però una sorta di peronismo argentino in salsa trumpiana, è chiaro che il nuovo Partito Repubblicano (che niente ha più a che vedere con quello vecchio) punta ad allargare la sua base elettorale. Attenzione: l’allarme che parte da Remocontro è che la strategia protezionistica di Trump abbia delle ricadute pesanti, a specchio, in politica interna. Il suo obiettivi è quello di consolidare la base elettorale ‘operaista’ e manifatturiera, ponendo le premesse anche per un’espansione verso gli strati sociali multirazziali più svantaggiati. Se poi questo tipo di operazione dovesse riuscire anche nel settore agricolo e nelle fasce suburbane, allora l’obiettivo finale di Trump, cioè quello di massimizzare il consenso per radicare il potere Maga nel Congresso, potrebbe avere successo.

Capitalismo di Stato Cinese

In ogni caso, qualunque sia il suo progetto di ‘Grand strategy’ per tenere a bada le ambizioni cinesi ,Trump dovrà sempre fare i conti con la straordinaria capacità, che hanno i ‘capitalisti di Stato di Pechino’, di allocare le loro risorse. Riescono a essere addirittura più competitivi (nel rapporto prezzo-qualità) delle assai decantate aziende occidentali. Dove, evidentemente, non sempre la concorrenza tra attori privati riesce a creare condizioni ottimali di efficienza. Ma quasi a sottolineare la portata strategica, non solo economica, del confronto Usa-Cina, ecco cosa scrive il Wall Street Journal: “Nelle rivalità tra grandi potenze, ciò che conta è chi sta dalla tua parte. Per anni, Washington è stata indifferente o incoerente nei suoi rapporti con ampie fasce del globo. A volte ha messo attivamente alla prova la pazienza dei suoi partner di lunga data».

Sgarbi americani e attivismo cinese

“«Nel frattempo, la Cina ha iniziato a costruire influenza. Dal 2013, il suo massiccio programma infrastrutturale ‘Belt and Road’ ha investito più di 1 trilione di dollari in progetti che vanno dalle miniere e autostrade alle ‘città intelligenti’ in circa 150 Paesi». Cioè, forse i nipotini di Confucio vogliono dire agli americani che, se prima dici di essere ‘amico’, dopo non puoi trattare tutti gli altri come fanno di solito gli usurai.”

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Articolo di Piero Orteca dalla redazione di

27 Marzo 2025