DI NICOLA FRATOIANNI
Amani ha 38 anni ed è dentista a Gerusalemme.
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Ha un nome molto bello, che vuol dire speranza; bello come il suo sorriso che parla di futuro, nonostante tutto.
Ci hanno raccontato ieri a Gerusalemme che la speranza e il disastro hanno la stessa radice in lingua araba. Sono abituati a sorridere amaro.
Amani vive a Sinwal, il quartiere antico di Gerusalemme, da quando è nata.
La sua casa, dove vive con le sue due figlie e suo marito, è di fronte alla casa del papà e della mamma, dove lei è nata e cresciuta.
Ma ieri mattina è arrivato l’esercito per dirle che devono andare via e che la loro casa, che ha il volo degli uccelli dipinto sui muri, verrà abbattuta.
Senza altra ragione, se non sfollare i cittadini palestinesi da Gerusalemme.
Questo abbiamo visto ieri, nel nostro primo giorno: a Sheik Jarra, a Sinwal, come nei villaggi intorno a Gerusalemme sta accadendo una progressiva e costante esclusione dei palestinesi.
In due modi, i coloni arrivano e occupano case o anche solo pezzi di case di palestinesi, costringendoli a lasciare.
Oppure radono al suolo le abitazioni e rendono inospitali i luoghi in cui vivono i palestinesi nei loro quartieri.
Asili, scuole, centri di aggregazione abbattuti.
Qual è il senso di tutto questo?
Mentre c’è l’inferno a Gaza, nel frattempo a Gerusalemme e in Cisgiordania sta andando avanti il piano di espulsione dei palestinesi dalle loro terre.
Nel silenzio della comunità internazionale e nonostante un diritto internazionale che dica ben altro.
Amani ci ha chiesto di parlarne ed è anche per questo che abbiamo portato i nostri occhi qui.
Iniziamo la seconda giornata.
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Nicola Fratoianni
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