DI GIANFRANCO ISETTA
Vorrei proporre una riflessione molto generale, senza alcuna pretesa di dare risposte a un tema enorme come quello delle migrazioni di massa in atto, accompagnate dalle tragedie e i drammi che conosciamo, assieme all’incapacità dell’Occidente di saper rispondere anche per ritardi o addirittura mancanza d’analisi compiuta del fenomeno e delle sue cause.
Naturalmente c’è un drammatico problema che richiede l’immediatezza e l’efficacia di risposte che non possono che venire da un cambio di rotta della politica dell’Occidente in generale e dell’Europa in particolare. Ma ci sono ragioni più generali di carattere economico, sociale e culturale legate alla diversità di ritmi di sviluppo e di distribuzione delle risorse tra le varie aree del mondo che andrebbero indagate, affrontate e risolte con davvero un nuovo cambio epocale.
Non essendo fatti solo di pancia, proviamo a tentare qualche ragionamento. Prenderei in esame i termini TOLLERANZA e INTEGRAZIONE consapevole che altre parole sarebbero necessarie per parlare di questi temi: NOMADISMO e MIGRAZIONI, MESCOLANZA, METICCIATO, MONDO GLOBALE.
NOMADISMO: Parola quasi sempre associata, con tono dispregiativo, alle popolazioni ROM e SINTI (quelli che chiamiamo sprezzantemente ZINGARI)
Ma noi siamo stati in prevalenza una specie nomade. Per poi diventare in prevalenza migrante.
Da quando siamo comparsi sul pianeta (parrebbe in Centro-Africa e con la pelle nera per esigenze di adattamento climatico) ci siamo continuamente spostati, passando dalla raccolta del cibo alla pastorizia e poi all’agricoltura e quindi cercando sempre nuovi territori diventando MIGRANTI, altra parola chiave della nostra storia.
Cercando nuovi spazi man a mano che la popolazione cresceva e il clima (con la fine dell’era glaciale) apriva a nuovi territori le nostre possibilità di sopravvivenza. Naturalmente ci siamo sempre adattati alle nuove condizioni che trovavamo, dal clima appunto al territorio, arrivando anche a mutare la pigmentazione della pelle di quei gruppi che si spinsero fino all’emisfero settentrionale del pianeta, meno soleggiato. Per assorbire meglio il poco calore disponibile.
Successivamente in epoche più recenti, penso al declino di imperi storici da quello Romano d’Occidente e a quello Bizantino (più corretto sarebbe dire impero Romano d’Oriente) successivamente, solo per citare i più noti, ci si è spostati in gruppi più numerosi e dove si arrivava, in cerca di nuovi territori, adatti alla sopravvivenza di una popolazione in crescita, i “già presenti” definivano i “nuovi arrivi” barbari e violenti (e non sempre a torto, visto i tempi e con scambi reciproci di cortesie) e non certamente ben accolti.
Un fenomeno di migrazione di massa ha interessato la stessa Europa e la nostra Italia a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, e il trattamento riservato dai residenti ai nuovi ospiti non era sempre “cortese”.
Oggi il termine GLOBALIZZAZIONE, riferito alle persone, richiama a nuove forme di nomadismo o migrazione, a seconda dei casi, ma ciò accade individualmente seguendo appunto destini personali e non di gruppo, anche se all’interno di aggregazioni etniche a volte.
Anche in questo caso i termini usati ne definiscono la qualità percepita dai “già presenti”, o residenti che dir si voglia. Si può essere IMMIGRATI (in EUROPA anche EXTRACOMUNITARI) non sempre graditi come persone, più tollerati come merce o forza lavoro mercificata, oppure in tutt’altra dimensione percepita PERSONE in cerca di esperienze diverse di studio, di lavoro e di vita (giovani, qui da noi, europei che viaggiano utilmente e si spostano identificando le proprie future radici su spazi diversi e più ampi rispetto ai loro genitori) esperienze spesso variabili nello spazio e nel tempo, appunto NOMADI.
Ogni volta il problema è lo stesso e riguarda il rapporto di convivenza tra “già presenti” e “nuovi arrivi”. Dai tempi dell’incontro con l’uomo di Cro Magnon, all’epoca del declino e poi della fine dell’Impero Romano, sino ad arrivare alla nostra contemporaneità con i residenti-cittadini “già presenti”. Sempre, naturalmente sintetizzando per ragioni di spazio, è scattato lo stesso meccanismo: LA PAURA della perdita di qualcosa, dell’incontro con qualcosa di diverso, insomma il contrario di una delle caratteristiche fondamentali che comunque ha consentito alla nostra specie di autoconservarsi crescendo su molti versanti: LA CURIOSITA’ appunto per il nuovo, per il diverso, per il non conosciuto in ogni campo, (motore dello stesso desiderio di conoscenza, che dovrebbe essere una peculiarità della nostra specie)
Naturalmente in periodi di crisi è facile lo scatenarsi di guerre tra poveri e il crescere del senso di insicurezza, in parte ad essa collegata. Così come le diversità dei costumi, usi e tradizioni religiose o laiche che hanno difficoltà ad incontrarsi nell’immediato. E infine anche i fenomeni di criminalità, a volte feroce, diffusa anche se piccola e legata alla ricerca di risposte sbagliate al problema della sopravvivenza, contribuiscono ad alimentare molte forme di rifiuto all’accoglienza.
Trascuro naturalmente, per carità di dio, le forme di strumentalizzazione politica che si commentano da sole nella loro volgarità, pericolosità e pochezza culturale e umana.
Tutto questo complica le cose e i comportamenti relazionali tra gruppi e persone, magari fomentati da forme di sciacallaggio politico e ideologico.
Ma alla base io credo resti la rinuncia all’IDEA che qualunque modo di vivere, di pensare, di sognare, di organizzarsi.
Insomma che una CIVILTA’ non può che nascere, modificarsi, svilupparsi nei tempi e negli spazi in cui una popolazione si colloca, cioè nei territori dove persone si incontrano e decidono di vivere, anche temporaneamente.
Semmai è proprio questo elemento spazio-temporale, che ha acquisito oggi una valenza assai diversa che nel passato, per la velocità con cui muta il suo rapporto con le persone.
Intendo dire che la sedimentazione di tutti quegli elementi che concorrono a definire una civiltà avviene in tempi rapidissimi e in spazi variabili nel tempo.
Meglio sarebbe dire che ormai la dimensione si fa sempre più planetaria e il tempo sempre più immediato, anche per il concorso delle nuove forme di comunicazione personali e di massa. Tutto è talmente rapido che la nostra generazione ha difficoltà a percepirne gli sviluppi e le conseguenze e quindi ha difficoltà a governarne i processi e le conseguenze che ne derivano. Io credo che risieda anche in questo una delle ragioni della difficoltà della politica, nel mondo, a saper dare risposte.
Ma c’è poi la difficoltà di ciascuno di noi a vivere consapevolmente dentro queste trasformazioni, senza la paura di cui parlavo prima ma, con la curiosità che ci richiede il nuovo.
Quel che mi sembra di intravedere, nella prospettiva, è un processo di nuova riaggregazione della nostra specie, persino sul piano fisico, una sorta di Torre di Babele al contrario, e che si potrebbe sintetizzare con un termine che a me sembra efficace, e non ne saprei trovare altri: METICCIATO.
So che è un termine tutt’altro che condiviso proprio per le ragioni di cui parlavo prima, ma tant’è.
Per definire una sintesi tra i diversi tipi di civiltà sedimentati nei vari luoghi e nel corso di millenni, con pochissimi esempi di comunicazione tra di loro e che ora hanno l’occasione di incontrarsi velocemente e in uno spazio in parte anche virtuale, almeno per come appare, ma che diventa il pianeta stesso.
Propongo un esempio:
oggi la NUOVA FISICA, introducendo i concetti di indeterminazione e di casualità dei fenomeni riguardanti la materia, trova nuovi motivi di incontro con alcune forme di misticismo orientale. Vorrei citare una frase del fisico Werner Heisenberg, uno dei padri della meccanica quantistica, che diceva: “E’ probabilmente vero, in linea di massima, che della storia del pensiero umano gli sviluppi più fruttuosi si verificano spesso nei punti di interferenza fra due diverse linee di pensiero. Queste linee possono avere le loro radici in parti assolutamente diverse della cultura umana, in tempi diversi e in ambienti culturali diversi o di diverse tradizioni religiose; perciò, se esse realmente si incontrano, cioè se vengono a trovarsi in rapporti sufficientemente stretti da dare origine a un’effettiva interazione, si può allora sperare che possano seguirne nuovi e interessanti sviluppi”.
Naturalmente ciò è estensibile a tutto quel che ha a che fare con l’idea di cultura e civiltà. Consapevole della urgenza di risposte al dramma di questi tempi vorrei concludere riprendendo una proposta per l’immediato che potrebbe sembrare provocatoria: Perché non andare ad imbarcare con navi europee questa massa di immigrati in partenza dalle coste, soprattutto libiche, per portarle in Europa e distribuirle tra i vari stati in ragione della loro capacità di accoglienza, da fissare a livello di Comunità europea. Anche per togliere ai criminali che organizzano per lucrare questi barconi della morte la possibilità di agire, in attesa di contribuire ad affrontare le cause più profonde di tale esodo davvero biblico?