DI LUCA BAGATIN
Il taglio dei parlamentari, che sarà o meno decretato in Italia con l’esito del referendum del mese prossimo, appare, invero, un falso problema.
In sé non è un attacco alla democrazia, come affermano molti, in quanto la democrazia è governo diretto del popolo e non ha nulla a che vedere con la cosiddetta “rappresentanza” che scaturisce dalle elezioni. Al massimo – il taglio dei parlamentari – può impedire ulteriormente ai partiti minori di avere spazi elettorali, ma ciò è semplicemente in linea con quanto proposto da decenni dai partiti maggiori, con i vari sbarramenti elettorali e sistemi maggioritari.
E’ chiaro che ciò riduce spazi di discussione, ma sono comunque spazi che rientrano sempre nell’ambito partitico e non hanno nulla a che vedere con la volontà diretta dei cittadini.
La democrazia, invero, prevede che sia il popolo stesso a decidere per sé stesso, senza mediazioni di sorta, fatte di ideologismi, di lobbismi ed interessi particolari, come spesso rischia di accadere nell’ambito dei partiti e dei politici che li compongono.
La democrazia, dunque, o è partecipativa e diretta o è un’altra cosa.
E perché sia tale, si presuppone elevazione intellettuale e morale del popolo che, attualmente, si lascia guidare come un bambino da partiti, politici e lobby economiche di riferimento.
Un popolo non elevato intellettualmente o moralmente non può pensare né di governare, né di essere libero e quindi di pretendere democrazia.
Occorre, dunque, lavorare su questo.
Affinché la democrazia partecipativa sia possibile, sono dunque necessarie delle assemblee popolari pubbliche. Ove le persone tornino a parlarsi e a confrontarsi direttamente, guardandosi negli occhi. Venendo meno le sezioni di partito di un tempo, che erano anche palestre di formazione politica e di confronto, oggi, è più che mai auspicabile un sistema assemblearista aperto, su base federata il più possibile: a partire dai quartieri e via via sino ai livelli superiori. Ovvero dalla periferia sino al centro.
Il sistema della democrazia partecipativa sarebbe quanto di più democratico possibile, ma ciò presuppone che si investa fortemente nella scuola e nella formazione politica delle persone. I partiti stessi, le associazioni culturali, le fondazioni ecc… dovrebbero e potrebbero mutare la loro funzione in questo senso, ovvero tornare ad essere luoghi in cui formare le persone.
Nella scuola (oltre che nella sanità) si dovrebbe investire almeno il 50% del PIL, perché unico vero settore di crescita e di sviluppo umano, che è di gran lunga più importante della crescita economica, utile solo a chi vuole arricchirsi e accumulare beni materiali.
La democrazia partecipativa presuppone anche che ogni realtà locale torni ad essere una comunità di persone che vivono la medesima situazione e non un insieme di atomi separati, ciascuno arroccato nel proprio orticello e nel proprio particolaristico ed egoistico interesse.
In questo senso, la democrazia partecipativa si coniuga con un sistema economico e sociale che superi egoismo, interesse e capitalismo, ovvero introduca forme di autogestione socialista ove ogni cittadino sia responsabile nei confronti di sé stesso e dunque dell’intera comunità.
Un sistema sociale e economico radicalmente sovvertito e opposto a quello presente. Un sistema fondato ad esempio sul baratto, sull’economia del dono e di sussistenza, sul superamento del danaro quale mezzo di scambio, sul superamento del lavoro salariato (in favore del lavoro cooperativo e volto al benessere collettivo) e dell’interesse economicistico e egoistico.
Sistema di democrazia diretta e partecipativa fu quello dell’Agorà Greca, oltre che per molti versi quello profetizzato dal saggista David Van Reybrouck nel suo libro “Contro le elezioni – perchè votare non è più democratico”, edito da Feltrinelli e nel quale egli propone una realtà ove il Parlamento sia composto da persone estratte a sorte.
Una proposta peraltro contenuta anche nel saggio “Semplicemente liberale” di Antonio Martino. Che è un sistema non lontano da quello cubano – ove i candidati all’Assemblea Nazionale sono scelti a partire da assemblee di quartiere, su vari livelli e i deputati svolgono il loro lavoro a titolo gratuito, quale servizio alla comunità – o da quello dei primi Soviet di Lenin e della Libia socialista di Gheddafi, nella quale – a dispetto delle fake news e della disinformazione in merito – vi erano congressi e comitati popolari aperti ai cittadini.
Un sistema auspicato da tempo anche in Francia, sia dai Gilet Gialli che dal filosofo Alain De Benoist, il quale è da sempre un fervente critico della cosiddetta “democrazia rappresentativa” tipica dei regimi liberali. Ovvero quella che delega ad altri, sottraendo così sovranità ai cittadini.
Ridurre il numero dei parlamentari è quindi un problema piuttosto fasullo e utile solo ai politici per alimentare un vuoto dibattito, che ancora una volta ha poco a che vedere con le necessità dei cittadini.
I quali dovrebbero iniziare da subito a formarsi, approfondire, studiare, eleversi moralmente e intellettualmente. Smetterla con inutili cicalecci mediatici, assurdi complottismi, inutili contrapposizioni o reciproci sospetti.
Il nemico è una realtà che rende le persone schiave dell’egoismo. Il nemico è una realtà che promuove la concorrenza fra le persone e l’accumulo di beni materiali. Il nemico è una realtà che distrugge l’ecosistema e che promuove il ricco borghese a scapito della comunità. Il nemico è una realtà che distrugge la sanità, la scuola, la ricerca e la formazione.
Occorre dunque più democrazia. Il che presuppone più intelligenza, meno ignoranza, meno egoismo. Più senso di comunità, di moralità (senza moralismo) e del dovere.
Luca Bagatin