DROGA, ANTIPROIBIZIONISMO UNICA VIA

DI MASSIMO RIBAUDO

17 anni di solitudine

“È più facile cominciare una guerra che finirla. Sto per compiere cent’anni, e ho visto cambiare tutto, persino la posizione degli astri nell’universo, ma non ho ancora visto cambiare nulla in questo paese”. Gabriel Garcia Marquez.

Siamo a Macondo, e ce lo vogliamo dimenticare.

Il 21 febbraio 2004 partecipavo alla marcia antiproibizionista contro l’approvazione delle Legge Giovanardi-Berlusconi-Ciampi sugli stupefacenti.
E poi contribuii a stendere il ricorso alla Corte Costituzionale, che fu accolto, su vari elementi della legge che fu comunque approvata e che ha portato alla detenzione in carcere di decine di migliaia di persone. Vite distrutte e soldi buttati.

E’ cambiato qualcosa? Si, in peggio.
Abbiamo ministri della Sanità, della Difesa e un ministro dell’Interno farisaici difensori del proibizionismo pur di assomigliare a Meloni e Salvini.

La cocaina dilaga e si mettono agli arresti domiciliari i malati che utilizzano cannabis a scopi terapeutici.
TU VIVRAI CON DOLORE è il principio primo, l’unico comandamento della società italiana.

Qualche anno dopo la manifestazione, Franco Casalone, arrestato per uso terapeutico di cannabis, mi pose una domanda sul forum legale di Antiproibizionisti.it

Questa fu la risposta.
______________________________________

…vorrei sapere le motivazioni del divieto dell’uso della Cannabis e perché gli stupefacenti sono soggetti ad un regime di restrizione. Grazie e ciao.
FRANCO CASALONE

Massimo Ribaudo:

In merito alla domanda posta, per un’esauriente trattazione del tema, sarebbero necessarie decine di pagine di analisi.
Proverò a dare una risposta sintetica.
Al di là di ragioni filosofiche e sociologiche, l’ordinamento giuridico vieta un determinato comportamento in ragione del
danno che da quel comportamento possa derivare al singolo o ai gruppi.

Vi sono poi divieti che riguardano anche il “pericolo” di danno e quindi la mera possibilità che un determinato comportamento si realizzi.

Il diritto PROIBISCE in quanto si sostituisce alla libera determinazione del singolo, poichè non ritiene il singolo
agente, seppur maggiorenne, in grado di comprendere gli effetti, non solo individuali, ma anche sociali, della propria azione.
Le sanzioni, per chi viola il divieto, possono essere di tipo penale o amministrativo.
Il carcere, costituzionalmente, dovrebbe tendere ad effetti rieducativi del soggetto e mai repressivi.
Questo è un modello giuridico che ha circa tre secoli di storia.

Un modello, si potrebbe dire, “paternalistico”.
Vorrei ricordare come tale impostazione non è mai stata sostanzialmente modificata in Italia (così come nel resto d’Europa), neppure successivamente alla fine della seconda guerra mondiale.

E giungiamo al proibizionismo giuridico moderno.

Il proibizionismo, (e, chiaramente, il pensiero si rivolge al tema dell’alcol nell’america degli anni ’30), a mio giudizio è una tecnica normativa – nonchè un’opzione politica – che scaturisce da modelli filosofici di stato etico che vuole educare i cittadini al “vivere sano”, secondo parametri religiosi, morali e pseudoscientifici. Non a caso gli stati maggiormente proibizionisti sono gli Stati Uniti, la Russia (come lo fù l’Urss), gli stati islamici del Pacifico e la Cina.

Poi c’è il proibizionismo “d’accatto”, all’italiana.

Si deve far vedere alla cittadinanza che “si fa qualcosa” per prevenire situazioni di pericolo, sia in astratto che in concreto.
Questo provoca il contrabbando. Perchè l’assuntore della sostanza “sà” che il potere pubblico sta mentendo alle sue spalle. E le organizzazioni criminali ne approfittano.
(Droga e armi sono le due prime voci delle entrate illegali in Italia, con cifre superiori a diverse leggi finanziarie).

Qualche piccola annotazione sul modello italiano.

Oggi si può acquistare come farmaco da banco un prodotto a base di nicotina (il famoso cerotto transdermico) che, nelle avvertenze, presenta la possibilità
per l’utilizzatore di subire un’ overdose letale ove egli, durante la terapia transdermica, continui ad assumere nicotina attraverso le sigarette.
Si può morire di Niquitin. Ed è un farmaco da banco.

Nessuno è mai morto di overdose di THC, i cui valori di pericolosità sono così alti per l’uomo che sarebbe quasi impossibile consumarli in una singola assunzione.

Tutti i rapporti tossicologici confermano che la Cannabis non è letale. Illustri studi hanno confermato che la Cannabis non dà dipendenza “fisica” come, invece, purtroppo, è causato dalla nicotina.

Lo stesso discorso vale per molteplici altre sostanze. In Italia si vende liberamente l’ Iperico, (un antidepressivo erboristico), che in Germania necessita di ricetta medica, in quanto può causare psicosi compulsive ed atteggiamenti suicidi.
In Italia è proibita la vendita di prodotti a base di Efedrina, che, negli Stati Uniti, sono considerati integratori alimentari in libera vendita nei supermercati.
E sto citando qualche esempio tra i più comuni.

Si deve quindi andare verso un’amministrazione sanitaria delle sostanze di abuso, ( mi permetto di rilevare che il termine “drug” in inglese si riferisce alle medicine), e mantenere nell’ambito penale soltanto i fenomeni di contrabbando ingente.

Si deve però ricordare come, anche nell’attuale vigenza della legge, il consumo esclusivamente personale, (e la conseguente detenzione), sia da considerarsi un comportamento sanzionabile solo amministrativamente.

Ove la personale detenzione di Cannabis sia superiore ai quantitativi determinati dal Ministero della Salute, una volta che il soggetto detentore dimostri la finalità all’esclusivo uso personale, nessuna condanna penale può trovare giustificazione.

Link: https://www.dolcevitaonline.it/casalone2007.pdf