IL ROTTAMATORE ERRANTE
DI ALBERTO BENZONI
Le fate buone che si sono affollate davanti alla sua culla gli hanno garantito tutte le doti necessarie per svolgere questo ruolo: intelligenza pronta, lingua sciolta, capacità di adeguarsi allo spirito del tempo, percezione infallibile delle debolezze del rottamabile di turno, sfacciataggine, irriverenza; assieme all’esistenza di un ambiente esterno costruito sul nuovismo e sul principio di rottamazione di tutto quello che c’era prima.
Però, come ci raccontano le favole, ci si era dimenticato, nel fare gli inviti, di una fata che, già balorda di suo, si era incattivita nel corso degli anni. E questa è arrivata alla fine e rivolta al nascituro ha detto: “sarai un grande rottamatore ma non saprai fare altro. Ma verrà ben presto un giorno in cui non potrai farlo più; e allora…” (e allora, gli venne un accesso di tosse che gli impedì di completare il suo vaticinio).
A noi, dunque, il compito di verificare l’esattezza di questa previsione. Ma anche, espresso il naturale sollievo per la scomparsa del rottamatore, di aiutare, con i nostri consigli, l’individuo a cercare una nuova vita in cui esercitare i suoi indiscussi talenti.
La fama del Nostro (adesso ve lo posso dire; si tratta di Matteo Renzi) come grande rottamatore non è certo usurpata. Calcolando per difetto (così da ignorare, per esempio, i danni psicologici permanenti arrecati ai suoi compagni di classe dal suo protagonismo petulante) abbiamo, come sue vittime: Lapo Pistelli, il gruppo dirigente dell’allora Pds alla provincia e al Comune; lo stesso Comune (privato dei fondi per la cultura quando Renzi era presidente della Provincia; l’ambiente con la proposta di costruire l’aeroporto di Peretola e il nuovo stadio; Bersani; Prodi come aspirante presidente della repubblica affossato da 100 franchi tiratori; e, ancora, la prospettiva di riforma costituzionale, vittima di un referendum impostato in modo tale da essere perso; D’Alema; la povera Mogherini, usata e poi gettata; il governo Letta; il patto del Nazareno; il sindacato, nella duplice veste contrattuale e “concertazionista”; il Pd; la decenza politico-istituzionale (nel Pd, quando si dovevano eleggere i parlamentari e scegliere i ministri, fuori dal Pd subito dopo, ma lasciando una nutrita quinta colonna all’interno del vecchio partito); e, infine, il governo Conte, Conte più qualche ministro; e, per chiudere, ancora il Pd e Zingaretti.
Nell’esercizio di questa sua missione, una indiscussa abilità: che gli ha consentito di individuare i bersagli più facili da rottamare, disponendo, quasi sempre, per la bisogna, di un adeguato consenso. Ma, come era logico che avvenisse, con l’andare del tempo, il consenso all’operazione si è tradotto sempre meno in un consenso per il suo protagonista; fino a ridursi praticamente a zero nel caso del “colpo di pugnale nella schiena” al governo Conte che ha aperto la strada a Draghi; forse la sua rottamazione più importante e più riuscita.
Ma è proprio in questo ultimo passaggio che le fate buone hanno cessato di operare. Quasi tutti, ora, a manifestare fastidio, politico ma anche etico per il demolitore; al punto di svalutare, se non di passare sotto silenzio il suo ruolo nell’arrivo di Draghi. E Draghi stesso, ovviamente, il più infastidito di tutti; a nessuno uomo del destino piace l’idea di dovere la sua ascesa a volgari e disdicevoli intrighi. E ancor meno il vedere davanti a sé il protagonista di questi intrighi: peggio ancora quando compare per chiedergli un qualche compenso.
E, ancora, non è rimasto nulla che possa essere rottamato, in solitario. Quelli del Pd, avendo superato il “mai con Salvini” stanno trovando l’ultima linea del Piave nel “mai con Renzi”. L’attacco all’alleanza pd/m5s, contribuisce a cementarla.
Di rottamare la destra non se ne parla, anche le entrate sono chiuse ermeticamente. Mentre la massa di manovra a sua disposizione, diciamo tra il 5 e il 10 % dei parlamentari sta diventando una zavorra; e una zavorra tale da portare all’autorottamazione.
Siamo allora alla traversata del deserto. Ma senza i mezzi necessari per intraprenderla. A partire dal recupero dell’esercizio del silenzio. Un esercizio che il Nostro non è proprio in grado di praticare. Ciò che gli impedirà di cominciare una nuova carriera della Nato: non puoi entrare in una istituzione di cui aspiri a diventare il capo, e se, contrariamente a quanto pensi, non sai l’inglese. Come non puoi sperare di fare il capo presiedere una associazione internazionale se sei disposto a prendere soldi dal primo delinquente che passa, dichiarando di pagarci sopra le tasse.
E allora? Scartata ovviamente l’idea di andare a rifarsi l’immagine in Africa (dopo Attanasio è impossibile; e comunque Veltroni avrebbe la precedenza) o di lasciare la politica rimane un’unica ipotesi: apparire su di una testata giornalistica in un “atteggiamento affettuoso” con Maria Elena Boschi. “Attraverso la politica ho, abbiamo, riscoperto l’amore”. Come intermezzo balneare può funzionare. Poi si vedrà.
Sto cazzeggiando, lo confesso. Ma, guardando in giro, è l’unica soddisfazione che mi (ci) resta.