DI VINCENZO G. PALIOTTI
Quella del cameriere del ristorante La Tana di Rimini che chiede scusa, con il saluto fascista, rivolgendosi al ritratto di Mussolini (?) per aver servito una famiglia di persone di colore è da rendere nota e da “narrare” a parenti e amici.
A parte il fatto che non si spiega come mai in un locale pubblico sia esposta un’effige di quello che fu un feroce e sanguinario dittatore, senza che nessuno ne reclami la rimozione, che forse l’apologia del fascismo è stata depenalizzata? Ci siamo persi qualche cosa?
Beh, io vorrei avere la possibilità di parlargli, di spiegargli perché nella sua posizione inneggiare ad un razzista, classista, liberticida è del tutto fuori luogo e controproducente per lui. L’ignaro e giovane “simpatizzante” di un regime di cui molto probabilmente sa ben poco, non considera quanto egli sia fortunato a vivere questa epoca e non quella alla quale lui inneggia. Infatti, il suo lavoro, benché umile è rispettato, rispettabile ed ha una sua dignità, come è giusto che sia, una sua professionalità, non tutti infatti sanno servire a tavola.
Tutto questo grazie al tipo di società alla quale appartiene oggi il giovine “parafascista” che certe barriere, certe differenze di classe le ha abbattute. In quell’epoca invece era considerato denigratorio dichiarare di fare il cameriere, si veniva trattati quasi come un disadattato, un essere inferiore. Si faccia dire da qualcuno che quell’epoca l’ha vissuta, quella delle camicie nere, degli stivaloni, dei fez per intenderci, e quanta “considerazione” aveva un individuo che faceva il suo stesso lavoro, della sua stessa posizione sociale.
Quante cose gli erano proibite, per esempio gli era vietato frequentare certi ambienti chiusi alla sua condizione, allora vigeva non solo il razzismo verso altre religioni, altri colori di pelle ma anche un classismo che era una “branche” del razzismo o ancora peggio.
L’ambiente in cui poi lavorava esigeva obbedienza assoluta ed un rigido rispettoso silenzio, altro che commenti con epiteti sguaiati e volgari. Chi aveva diritto di parola era il suo superiore, il direttore di sala, e prima di farlo chiedeva il permesso all’interlocutore.
In quell’epoca poi per una parola senza autorizzazione, per un gesto maldestro si veniva messi alla porta senza poter protestare, senza potersi appellare a diritti umani e/o professionali perché i diritti di ogni genere non esistevano, inclusa la dignità.
Invece in questa epoca egli potrà continuare a svolgere il suo lavoro tranquillo e pacifico, tutelato dal suo datore di lavoro che è della sua stessa risma, certo che in tutto questo a lui manchi l’unico “diritto” che non gli è concesso e che lui rivendica: quello di essere uno sporco razzista, un pessimo cameriere ma anche un cittadino che non rispetta le leggi dello Stato, inneggiare al regime fascista in ogni sua manifestazione è infatti reato penale.
Il cameriere è stato poi denunciato dalla famiglia che aveva servito, “tradendo” le sue convinzioni ma anche il codice penale della Repubblica Italiana, democratica ed antifascista.