ANCORA BUGIE SULLA COLLABORAZIONE DELLA LIBIA SUI “SALVATAGGI” DEI MIGRANTI

 

DI EMILIANO RUBBI

“Esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa per i salvataggi” (Mario Draghi – Tripoli, 06 aprile 2021)

Il 14 luglio del 2018, le motovedette della guardia costiera libica (forse alcune tra quelle donate dal nostro paese in modo da “intercettare” i migranti), fermarono un gommone con 158 persone a bordo al largo delle loro coste.

Erano migranti che cercavano di raggiungere le coste italiane.
Tra loro, due donne e un bambino si rifiutarono di salire a bordo della motovedetta.
Non volevano tornare nei lager che li aspettavano a terra.
I libici affondarono il gommone, lasciando le due donne e il bambino in mezzo al mare.
Due giorni dopo, i resti del gommone furono trovati dalla Open Arms.
Una donna era sopravvissuta, e raccontò l’accaduto.
L’altra donna e il bambino, nel frattempo, erano morti.

Avevano preferito morire in mare che tornare in Libia.
Da allora, i racconti del genere si sono moltiplicati.
E si è scoperto che si trattava di una prassi, per quanto riguardava i “salvataggi” dei libici.

Gli sfortunati che li hanno conosciuti, hanno descritto i centri di detenzione in Libia come “l’inferno in terra”.
Centri finanziati con i nostri soldi, quelli che sono stati denunciati più volte per le continue violazioni dei più elementari diritti umani da parte di associazioni come Amnesty International e persino dall’ONU.

Posti dove la gente muore di fame, per le torture, o a causa delle malattie che si diffondono rapidamente all’interno di immensi stanzoni privi di ogni minima norma sanitaria dove vengono ammassati assieme centinaia di uomini, donne e bambini.

Posti nei quali la percentuale di stupri ai danni delle donne catturate è difficilmente calcolabile, ma si ipotizza che sia di oltre il 50%. Anche per quanto riguarda le donne incinte.

Posti dove le torture sono all’ordine del giorno, e dove le esecuzioni sono la regola.
Tanto nessun parente saprà mai dove e quando sono morti i loro figli, padri, fratelli.

Posti gestiti, spesso, da ex miliziani o ex scafisti, ora riconvertiti in carcerieri grazie ai fondi italiani ed europei.

E ieri il nostro Presidente del Consiglio si è complimentato per tutto questo con il primo ministro del Governo di unità nazionale libico, Abdul Dabaiba.

Ci sono cose sulle quali, moralmente, non si può “mediare”, ci sono cose che dovrebbero alzare un muro tra chi è disposto ad accettarle e chi, invece, le rifiuta categoricamente, con tutto sé stesso.

Ecco, per quanto mi riguarda, quelle vite umane “di serie C” abbandonate in un inferno senza via d’uscita, in nome di una agghiacciante realpolitik, sono una di quelle cose che mi porranno sempre sul fronte opposto rispetto a chi le appoggia, a chi ne gioisce, a chi tace, a chi fa finta di niente.

Sono una di quelle cose che mi pongono e mi porranno sempre in minoranza, all’opposizione.
Perché mi dispiace: non lo accetto e non lo accetterò mai.
E probabilmente è per questo che non conto e non conterò mai un cazzo.

Ma spero che, tra venti o trent’anni, potrò ancora guardarmi allo specchio senza aver voglia di sputare a quello che vedo.

Mi basta questo.