Di CLAUDIA SABA
Si chiamava Luana D’Orazio e aveva soltanto 22 anni .
E’ morta a Prato in una fabbrica, dove una macchina tessile l’ha orribilmente stritolata.
Luana stava lavorando a un orditoio, una macchina che ordina i fili, tesse e cuce.
Quando all’improvviso è rimasta impigliata nel rullo e risucchiata all’interno del macchinario.
A nulla è valso l’aiuto dei colleghi accorsi per salvarla.
Quando i motori si sono fermati per lei non c’è stato più nulla da fare.
“A 22 anni si ha una vita davanti, a 50 si ha una famiglia alle spalle, in tutte le età si hanno progetti e sogni da realizzare – ha detto Bombardieri, segretario generale della Uil.
“Morire ancora sul lavoro non è accettabile. Quasi ogni giorno, una lavoratrice, un lavoratore si reca al lavoro e non fa più ritorno a casa. Certo poi ci sono le verifiche, le inchieste, le multe, i risarcimenti, ma la vita non si può risarcire o monetizzare. Dobbiamo riportare centrale il tema della sicurezza sul lavoro nelle aziende”.
Intanto in Toscana, così come in tutta Italia, si continua a morire di lavoro.
La sicurezza è solo un optional e non il fine primario da perseguire sui luoghi di lavoro.
“Il mio amore, il mio futuro, il mio specchio”, diceva Luana alle sue amiche parlando della bambina appena nata.
Ma Luana è morta.
Proprio nel luogo che avrebbe dovuto permetterle di vivere.
In un mondo senza più lavoro, morire per lavorare è l’ennesima tragedia nella tragedia.