DI IANA PANNIZZO
Ammetto di aver cominciato la lettura del romanzo “La Cattedrale Del Mare” di Ildefonso Falcones con scetticismo sebbene sia molto decantato. Di una lettura durata diversi giorni è rimasta la sensazione di tempo trascorso, di amarezza e d’infinito amore.
Sono molti i punti salienti su cui riflettere. In primis l’amore di un padre verso il figlio che si sacrifica per donargli il diritto e la dignità e un bambino che cresce troppo in fretta. A poco a poco l’amore di un genitore si trasforma in rammarico e nello sdegno fino a divenire un urlo che brucia come il fuoco, feroce, cattivo e disperato che irrompe, si scontra, e si schianta nel coraggio di spezzarsi ma non piegarsi all’ingiustizia, di vendicare e vendicarsi.
Ci sono i proprietari terrieri, l’ascesa al potere, i signori, una Barcellona che non esita, di entrare in guerra, una città in cui cercare la libertà, ma dove c’è un re non può esserci libertà.
Cos’è la libertà? Nel romanzo è agognata in molti versi e malgrado ci sia l’apparenza di una volontà, è circuita dalla politica, degli inganni, dai tradimenti e dalle umiliazioni. La nobiltà si appaga di soprusi, di violenze fisiche e psicologiche e non serve e non basta nascere nobili se l’animo è miserabile.
La libertà resta il sogno di una conquista nel tempo che passa e non torna e non perdona.
Anche l’amore è visto come una condanna, una colpa da nascondere e tuttavia affondarvi. E’ represso, nascosto, negato, vissuto come un crimine da punire. L’amore diventa feroce quando non può sfogare il suo tormento, sottomesso a decisioni che legano e come un cappio al collo, soffocano.
Ci sono le madri e la Madre.
L’amore genitoriale non può esimersi dal commettere sbagli ma in una Barcellona medievale in cui la condizione della donna si sottomette suo malgrado, agli istinti, alle ingiustizie, alle prepotenze riducendole a corpi senza volontà come stracci usurati dal tempo, le madri tremano, lottano e a volte si arrendono a un destino più forte di loro. Si riflettono nei sogni spezzati quando la vita le rende solo corpi senza onore e senza riscatto.
La Madre invece è silenziosa e amorevole. Quella che tutti vedono e pochi sentono, che si avverte nella fede, nella costruzione della Cattedrale del Mare, la Chiesa di tutti.
Dal mare e nel mare proviene e va la pace che si perpetua nella fede salda e forte. Un legame atavico, invisibile, spirituale, che vede oltre il visibile. Anche quando ci si sente esule persino in casa propria e non si trova la direzione del proprio cuore. Anche quando si volge lo sguardo verso l’orizzonte come chi in agonia aspetta di diventare carcassa e cibo per altre specie. La Madre non abbandona mai.
Il romanzo di Falcones segue un dibattito impervio, antico, mai sopito: Le credenze religiose, l’inquisizione, l’ignoranza di un popolo che si fa trascinare da chiacchiere e false testimonianze, focolai pericolosi che gettano infamia sulla certezza del niente. Cristiani ed ebrei sulla scia del fanatismo e della superstizione, una fede che si plasma al volere della convenienza per portare il peso di una colpa presunta e passata che non appartiene all’oggi. Nei protagonisti delle vicende vige il ricordo, che è la tortura peggiore, quando fa i conti con la coscienza, che si nasconde dietro il perbenismo, dietro l’invidia, e respira sul collo come il peggiore degli assassini che non uccide, ma logora. Nel tempo che non torna e non restituisce gli anni, incontriamo un’inquisizione e una chiesa che non cerca verità ma ricchezza, che non guida e si avvale di leggi che tutela solo i propri interessi poiché essi valgono più della vita di un innocente.
La peste, credenze, cristiani, ebrei. Il coraggio di non cambiare mai e la scelta di adattarsi negli anni inesorabili che giocano perversi agli occhi del fato e dei suoi propositi.
Un romanzo che non solo si legge, ma si vive attraverso ogni pagina, ogni parola, ogni stato d’animo che diventa sin da subito del lettore stesso e ti spezza il cuore in due fra sprazzi di una bellezza disarmante.
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